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Restaurata la tela di “S. Paride” del De Mura

 
Foto di Mimmo Feola
 

Lo scorso 3 agosto, nel 60° anniversario della riapertura al culto e consacrazione della cattedrale, devastata dai terribili bombardamenti degli alleati nell'ottobre del '43, dopo la ricostruzione ad opera dell'arch. Roberto Pane, è stato presentato il restauro della tela di Francesco De Mura “S. Paride che uccide il dragone”.
I restauratori Giuseppe Di Palma e Giovanni Piccirillo dopo un delicato e minuzioso lavoro, sulla tela e sulla cornice coeva, durato circa quattro mesi, hanno riconsegnato alla nostra Città l'opera restituita all'antico splendore, all'originale e vivace cromatismo, al preciso disegno, prima offuscata nella lettura dai danni derivanti dai fenomeni di degrado della pellicola pittorica e dagli interventi pregressi.
La tela si presentava, infatti, in condizioni pessime per le condizioni ambientali e per i precedenti restauri degli anni '50 e '70 che avevano prodotto evidenti alterazioni del colore, decoesione della superficie pittorica, sollevamento e distacco dello strato pittorico in alcune parti, sia dell'originale che degli interventi di restauro, e perché presentava tagli e mancanze nella parte bassa.
Le analisi propedeutiche all'intervento hanno evidenziato, con immediatezza, “la precisione e risolutezza del pittore, la qualità della pennellata, attestate dalla mancanza di disegni preparatori e di pentimenti, elementi tipici di un artista pregevole e assai raffinato”, quale era il De Mura, e che risaltano oggi pienamente alla visione dell'opera restaurata.
L'opera presenta, con tono compassato e lieve, l'episodio legato alla leggenda del Santo che libera la Città dal terribile dragone, rintanatosi presso le fonti a valle del paese, con in primo piano la giovane vergine Tranquillina, incaricata di portare, quale infausto tributo e con il rischio di essere sbranata, il pasto quotidiano al dragone, e il Santo che sovrasta tutti, quasi al vertice della composizione, nell'atto dell'imposizione del bastone sulla testa del mostro, addormentandolo e facendolo gettare nel Savone, liberando così la Città dall'orribile minaccia.
Il tutto reso con una composizione piramidale entro cui sono inscritte le figure rappresentate, in una modalità ancora manieristica, ma con atmosfere rischiarate e luminose, intrise di delicato cromatismo di tonalità pastello, e di un'icastica bellezza dei volti.
Il De Mura (Napoli 21.04.1696 – 16.08.1782), artista precoce, rivela immediatamente il suo grande talento per il disegno tanto che, appena dodicenne, un allievo di Giuseppe Simonelli notatolo, lo indirizza alla bottega di Domenico Viola da dove, subito dopo nel 1708, passa a quella di Francesco Solimena, l'artista principe del Regno, dove resterà per circa un ventennio, come l'allievo più dotato e prediletto.
Qui, apprende la lezione del Maestro e dei suoi riferimenti principali, in primo luogo Luca Giordano e la sua magniloquenza e passionalità, tipiche del barocco, la sensibilità e sottigliezza decorativa che sfocerà nel Rococò, il plasticismo di Mattia Preti, l'audacia prospettica del Lanfranco, all'interno della grande pittura napoletana, di tradizione naturalistica, illusiva e fantastica, che nel Seicento e nel Settecento raggiungerà esiti qualitativi di altissimo livello e di respiro europeo, tali da portare a illustri committenze delle corti reali e di ricchi e potenti collezionisti.
Il De Mura, pur nel solco del Solimena, ricalcandone tematiche e stilemi, trova una sua precisa cifra stilistica, attenuando quell'enfasi, quella monumentalità e passionalità, con atteggiamento più lieve e toni meno sostenuti, per giungere a esiti di pacata rappresentatività, di misura, distacco, di sobrietà e raffinatezza cromatica e luministica. Raggiungendo tanta fortuna e fama, da ottenere innumerevoli committenze religiose e della ricca nobiltà (particolarmente celebrati, gli affreschi di Palazzo Reale di Torino), da essere reputato, alla morte del Maestro: “Il più grande dipintore oggidì a Napoli”.
Il “S. Paride” di Teano, è presumibilmente un'opera giovanile del De Mura, risalente alla prima metà degli anni '20 del '700, quando, per dare una collocazione più idonea e dignitosa alle reliquie del Santo, collocate nella cripta, il vescovo Giuseppe Martino Dal Pozzo (morto nel 1723, cui succedette il vescovo Domenico Antonio Cirillo che portò a termine l'opera), fece costruire una nuova cappella: il Cappellone di S. Paride, progettato sul modello della cappella del Tesoro del duomo di Napoli.
Nel Cappellone, a pianta centrale, con un vestibolo di collegamento con la navata destra della cattedrale, e tre altari sugli altri bracci della crociera, dedicati oltre che a S. Paride, a S. Giuseppe e a S. Martino, in onore ai santi di cui portava il nome, furono collocate tre tele del De Mura: il “S. Paride”, in quella centrale e, ai lati, “La fuga in Egitto”, con S. Giuseppe e la sacra famiglia, e  “S. Martino che dona il mantello al povero”.
La vitalità e il dinamismo culturale che caratterizzò il Seicento e il Settecento napoletano, ebbero grandi riflessi anche per la nostra Città, allora viva e importante, che vide la presenza, oltre che del De Mura, di tanti artisti che qui lasciarono il loro segno: basti pensare almeno a Domenico Antonio Vaccaro per la ricostruzione dell'Annunziata e, forse, per il Cappellone di S. Paride; a Nicola Tagliacozzi Canale e Giuseppe Astarita per S. Maria de Intus; al Simonelli, per l'opera posta al centro del soffitto di S. Francesco, andata distrutta da una bomba, fortunatamente non esplosa nei bombardamenti del 1943; all'autore delle nove tele con le storie di S. Francesco, ancora non individuato ma, artista di mano sicura e pregevole; a Girolamo Cenatiempo, per “l'Immacolata Concezione”, sempre in S. Francesco, in condizioni davvero disastrose, tali che, se non si interviene nell'immediato si rischia di perderla; a Jacopo Cestaro, per le 3 tele della chiesa dell'Annunziata, perse sempre  a causa dei bombardamenti; all'autore delle tele di S. Maria de Intus, oggi nell'Episcopio, forse riferibili ancora al Cestaro; a Belisario Corenzio, per la tela del “Martirio di S. Caterina”, in Santa Caterina.
Quest'ultimo, in particolare, chiamato a Teano per i profondi legami con la famiglia dei Galluccio, vi rimase alcuni anni aprendovi bottega, in cui si formò il teanese Orazio De Garamo, per affrescare il salone d'onore del “Palazzo Magnifico”, affreschi andati perduti per il terremoto dei primi anni del '700, e alcune stanze della residenza dei Galluccio, di cui rimangono alcune tracce e lacerti.
Il restauro del S. Paride, con la restituzione di una pagina importante di storia artistica e di fede, dopo  quelli precedenti e recenti dell'edicola del Caldera e della pala del Corenzio di S. Caterina, rappresenta un'opera meritoria e un vitale momento di acquisizione di una rinnovata coscienza civico culturale, di cui dobbiamo essere grati alla Pro Loco “Teanum Sidicinum”, promotrice degli interventi, e alla tenacia dei suoi rappresentanti: Giuseppe Scala e  Antonio De Simone, a quali garantiamo, fin da ora, il nostro sostegno e collaborazione per ulteriori iniziative, magari con il recupero delle altre due tele del De Mura e di quella del Cenatiempo.
Perché, oltre che pensare alle manifestazioni effimere, leggere e gioiose, alle svariate sagre e feste, comunque importanti e irrinunciabili, che animano il nostro tempo, necessita fortemente un’attenzione e un impegno più profondo, concreto e duraturo, per la salvaguardia e conservazione dei nostri Beni Culturali, per la valorizzazione della nostre radici, e per arginare il continuo depauperamento di un patrimonio di incommensurabile valore e significato, come da tempo, ostinatamente, andiamo propugnando.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno XIV 2017 - n. 8 Agosto)

 
Foto di Mimmo Feola