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La rete territoriale dei beni archeologici e architettonici

(II parte)
 
pubblicato in: "Studi e ricerche sui beni culturali e paesaggistici per lo sviluppo turistico delle aree territoriali della Campania", a cura di Mariano Nuzzo, Noventa Padovana, 2021, pp. 57-84.
 


Fig. 5. Alvignano, Basilica di Santa Maria in Compulteria
 

Il patrimonio storico-architettonico medievale
La forte crisi economica e demografica che coinvolse la Campania principalmente con le devastanti distruzioni provocate dalla guerra greco-gotica (535-553) congiuntamente con le successive condizioni di instabilità che si protrassero per tutto l’Alto Medioevo determinarono la crisi degli insediamenti che si erano sviluppati fin dal mondo antico.
L’alternarsi delle devastazioni provocate dalle continue invasioni, abbinate ad eventi distruttivi di origine naturale, determinarono l’abbandono o il drastico ridimensionamento delle città romane, la cui popolazione si concentrò nelle parti più sicure e difendibili, trovando protezione e rifugio in altura, oppure creando insediamenti a carattere sparso. Nelle città ove vi fu continuità di vita, come a Teano, Sessa e Alife si verificò una forte contrazione urbana, che portò all’abbandono di parti consistenti dell’abitato e dei grandi complessi monumentali che furono utilizzati come cave di materiali per fare fronte alle nuove esigenze difensive e abitative. Il processo di continuità di vita in alcune città d’origine romana è dimostrata archeologicamente e dalle fonti scritte, particolarmente quelle benedettine del X secolo di Montecassino e dalla cronaca monastica di San Vincenzo al Volturno26, che sembrano attestare una frequentazione a macchia di leopardo in alcune realtà urbane, come ad esempio a Teano, ove la vita si concentrò intorno ai luoghi di culto e alle parti più sicure situate in prossimità delle opere di fortificazione della città.
Il massiccio reimpiego degli spolia, non solo servì per i nuovi scopi edificatori, ma assunse un significato ideologico e di prestigio per esaltare e magnificare il presente rispetto ad un passato illustre. Come già accennato gli edifici monumentali antichi, oramai interessati da un processo di defunzionalizzazione, vennero trasformati ad uso di cava per l’estrazione di marmi. I blocchi, in alcuni casi, furono frantumati per la produzione di calce, mentre in altre situazioni come materiali di reimpiego per la costruzione di chiese, abbazie, mura, torri ed edifici civili27.
Già dal V secolo iniziarono a diffondersi in tutto l’Impero le chiese basilicali, il cui impianto raggiunse una codificazione architettonica comune, attraverso l’impiego di planimetrie a tre navate, divise da due file di colonne, oppure da pilastri, coperte da tetti a capriate e con ingresso sul lato corto.
Chiese di origini paleocristiane sono attestate a Teano, la cui cattedrale, dedicata in origine a S. Terenziano, è datata su basi epigrafiche al V-VI secolo, sempre nella sessa città la chiesa di San Pietro in Aquariis del VI secolo, a navata unica con tre absidi sul fondo. A Carinola, la cui cattedrale, di età Normanna, fu edificata intorno ad un sacello di cui rimangono importanti lacerti di mosaici policromi datati al VI secolo. Ad Alvignano, la chiesa di Santa Maria in Cubulteria (fig. 5), datata al VI secolo, poco distante dall’abitato moderno, a pianta basilicale, preceduta da un nartece a cinque arcate oggi scomparso28.
A Teano, Sessa Aurunca e Alife, le fasi edilizie medievali si sovrappongono in parte o del tutto, come nel caso di Alife, agli impianti urbanistici di origine preromana e romana, tanto da riconoscerne le strade, la forma dei quartieri antichi, le aree pubbliche (Foro) e in alcuni casi i singoli edifici, seppure inglobati nelle costruzioni successive29.
Nell’abitato medievale di Teano, sviluppatosi sull’arce sidicina, sono presenti importanti complessi monumentali: la cattedrale, il castello, l’edificio trecentesco del Loggione, attuale sede del Museo Archeologico, che costituiscono la testimonianza più tangibile della continuità di vita millenaria della città. L’ampio reimpiego di spolia, insieme alle notevoli testimonianze architettoniche tardo antiche, alto medievali e alle fortificazioni, riedificate sulle mura dell’arce sidicina30, fanno di Teano uno dei casi più emblematici per il succedersi delle stratificazioni storiche su un arco di tempo plurisecolare. Nella stessa città vennero fondati dai conti longobardi e dai benedettini numerose chiese e monasteri, tra i quali si ricordano: San Benedetto, a tre navate con colonne e capitelli di reimpiego, datata al IX secolo; S. Maria de Intus, S. Maria de Foris e S. Michele, fondate nel X secolo31. Tali edifici versano, purtroppo, in condizioni deprecabili di conservazione e rischiano di scomparire del tutto a causa dell'incuria e dell'abbandono.
In modo analogo a Sessa Aurunca, la contrazione della città romana, provocata dalla grave crisi economica e demografica del VI secolo, determinò la contrazione dell’abitato nella parte settentrionale della città. Sede di diocesi a partire dal V secolo,
divenne sede di gastaldato longobardo nel IX secolo e poi sede comitale nel X secolo. Sul finire del X secolo venne ripristinata la sede episcopale; successivamente, con l’arrivo dei Normanni, venne eretta la cattedrale, potenziata la fabbrica del castello e consolidata la presenza dei benedettini nell'abitato e nella campagna. Circondata da mura, la città si sovrappose al reticolo stradale di età romana, addensandosi intorno all’arce e all’area del Foro, con punti di coagulo intorno ai complessi religiosi e alle attività commerciali che si diffusero anche nei borghi limitrofi. In età sveva, con Federico II, si ampliarono ulteriormente le mura difensive, ingrandito il castello, realizzati complessi conventuali francescani, costruite nuove chiese. In età angioina si ebbe un sensibile aumento demografico che determinò lo sviluppo di due quartieri all’interno delle mura: il borgo superiore ed inferiore, che determinarono importanti trasformazioni urbane con la scomparsa di significative parti del tessuto edilizio e architettonico più antico. L’abitato si concentrò intorno alle chiese di S. Leone, di S. Eustachio e S. Biagio. Venne, inoltre, costruito il piccolo castello di S. Biagio, a protezione del borgo superiore. Con gli Aragonesi, Sessa legò i suoi destini alla potente famiglia dei Marzano, duchi della città e signori di buona parte di Terra di Lavoro. I Marzano promossero interventi nel campo dell’edilizia religiosa e civile, con interventi monumentali tesi a trasformare il volto della città, congiuntamente al diffondersi nell’edilizia civile e religiosa di elementi decorativi di gusto durazzesco catalano. Tra gli interventi più significativi, ci fu la trasformazione del castello in palazzo ducale dei Marzano, segno tangibile della loro potenza nei confronti della città e dell’intera Terra di Lavoro32. Dopo la tragica caduta in disgrazia di Marino Marzano, la città fu governata da Viceré e nel 1507 assegnata al Gran Capitano Gonzalo Fernandez de Corduba, per passare poi, nel 1646, al demanio regio33.
Sul finire del X secolo, l’energica azione di riorganizzazione del territorio promossa dai Normanni comportò una ripresa significativa della vita nei centri abitati, il ritorno della popolazione in pianura, vedendosi creare una società più diversificata e una vita più tranquilla e libera. I Normanni rivoluzionarono le istituzioni tramandate dai bizantini, longobardi e musulmani con la creazione di uno Stato forte e potente dal punto di vista politico e militare: secondo questa organizzazione esistevano le terre di proprietà del principe e quelle feudali, concesse alla nobiltà. All'interno di questo sistema piramidale, furono assegnati ai monaci benedettini privilegi e incarichi di natura economica e militare, che favorirono una forte attività d’incastellamento, di bonifica dei suoli agricoli e di riassetto del territorio.
In questo clima s’ebbe una forte ripresa economica ed edilizia all’interno delle città, che si concretizzò nella costruzione di castelli, torri, abitazioni e in modo particolare nella realizzazione di nuove e splendide cattedrali e nella trasformazione, in forme più monumentali, delle chiese preesistenti. Il modello architettonico di questi edifici traeva ispirazione dalla chiesa desideriana di Montecassino, di tradizione classicista per l’impianto spaziale di tipo basilicale a tre navate separato da colonnati di spoglio, culminanti con tre absidi sul fondo e sottostante cripta. In alcuni casi l’esterno la chiesa è preceduta o da un vestibolo (nartece), oppure da un monumentale quadriportico rettangolare. Gli apparati architettonici erano abbelliti da cicli di affreschi, mosaici parietali e pavimentali, suppellettili preziose, paramenti in stoffe pregiate che suscitavano meraviglia nei fedeli durante lo svolgimento dei riti liturgici. Nell’Italia meridionale, questa architettura non ebbe uno svolgimento unitario e regolare per la molteplicità dei contributi creativi che contribuirono alla sua formazione sia da parte di maestranze italiane, sia arabe, bizantine e dell’Europa settentronale.
Tra l'XI e XII secolo, le chiese e le cattedrali di Teano, Sessa, Carinola, Ventaroli, Calvi e Alife, certamente tra i più importanti edifici sacri dell’area, furono costruite con ampio utilizzo materiali di reimpiego, apprezzati per il loro valore di memoria dell’antico, e abbellite con elementi scultorei, decorazioni architettoniche, cicli di affreschi di grande bellezza e raffinatezza; rinnovandone l’arredo liturgico con pregevoli pulpiti, candelabri e pavimenti incrostati di marmi e mosaici.
La perdita pressoché totale della decorazione pittorica, particolarmente nelle chiese, non ci consente di sapere quanto la cultura figurativa medievale abbia inciso nelle aree interne della Campania. Tale perdita può essere in parte colmata da un ciclo di affreschi sulla vita di Sant’Antonio Abate degli inizi del XV secolo, conservati nella chiesa omonima a Teano, e in particolare nella cappella di San Biagio di Piedimonte Matese decorata a pitture sulle Storie della vita di San Biagio e del Vecchio e Nuovo Testamento. Il ciclo pittorico di Piedimonte attinge ai Vangeli apocrifi e costituisce uno degli esempi più alti e poetici della pittura tardo-gotica campana34. Profondamente legato alla cultura giottesca è il prezioso crocifisso di Teano, di cui si accennerà in seguito.
La cattedrale di Teano35 (fig. 6), consacrata nel 1071, fu edificata sui resti di due chiese più antiche: una di origine paleocristiana e l’altra di età longobarda, precedute a loro volta da un edificio monumentale antico, probabilmente, un tempio dedicato al culto di Iside. La chiesa medievale semidistrutta nell’ultimo conflitto mondiale, è stata ricostruita nella forma spaziale romanica da Roberto Pane, intorno alla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso. Dell’impianto architettonico della chiesa Normanna è stato ricostruito il colonnato, recuperando fusti e capitelli antichi scampati alla distruzione, e le arcate che suddividevano le navate interne. Della cattedrale precedente alla distruzione del 1943, rimangono: l’imponente arco trionfale rinascimentale del presbiterio; alcune membrature del pulpito, ricomposto già in passato utilizzando materiali scultorei e architettonici provenienti da tombe del XIV secolo36; preziosi frammenti scultorei di età romana e longobarda37; il già citato crocefisso su pala del 1334, attribuito da Ferdinando Bologna al “Maestro di Giovanni Barrile”38; il Cappellone settecentesco di San Paride, decorato da pregevoli stucchi e da dipinti su tela del pittore napoletano Francesco De Mura e il bellissimo coro ligneo intarsiato di età rinascimentale. All’esterno l’imponente campanile a tre ordini, orientato in modo divergente rispetto alla facciata della chiesa, presenta un ampio impiego di materiali antichi epigrafi, frammenti architettonici e scultorei provenienti da edifici funerari della città romana e tra i quali una bellissima edicola con due coniugi, L. M. Africano e sua moglie Herennia.
La splendida cattedrale di Sessa Aurunca39 (fig. 7), dedicata a S. Maria e S. Pietro, parzialmente trasformata nel XVIII secolo, conserva mirabilmente l’impianto spaziale e architettonico di età medievale, tanto da essere considerata tra le più belle chiese romaniche della Campania. La sua costruzione iniziò nel 1103 e consacrata nel 1113 per la parte relativa al transetto e alla cripta. La fabbrica terminò tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo, con l’aggiunta del portico esterno voltato a crociera.
La chiesa, a pianta basilicale di tipo cassinese, è suddivisa all’interno in tre navate mediante una doppia fila di colonne, interrotte da un transetto rettangolare non sporgente concluso ad est da tre absidi. Nelle pareti perimetrali e nel portico furono impiegati grandi blocchi di calcare, recuperati da edifici romani e dal Foro, mentre per il transetto e nella parte alta della facciata, conclusa da un frontone con archetti pensili, furono messi in opera blocchi di tufo, come in altre cattedrali romaniche di Terra di Lavoro40.
All’interno arcate a tutto sesto scaricano su pulvini modanati, raccordati a capitelli corinzi, quasi tutti di età romana, insistenti su colonne di reimpiego in cipollino, portasanta e granito, poggianti su basi antiche in marmo. Un notevole pavimento musivo policromo, di tipo cosmatesco, dal complesso disegno geometrico, impreziosisce ulteriormente lo spazio della navata centrale. Tra le opere d’arte più pregevoli è il monumentale pulpito sorretto da sei colonne, poggianti su leoni stilofori, decorati da capitelli figurati. Al di sopra dei capitelli insistono archi leggermente ribassati, decorati da una cornice con elementi vegetali. Nei pennacchi del lato occidentale, sono rappresentate le figure dei profeti Daniele e Zaccaria, affiancati rispettivamente dalla Sibilla Eritrea e da un profeta anonimo. Sul lato destro dell’ambone è posto un notevole cero pasquale ornato da mosaici, poggiate su un basamento marmoreo scolpito da figure di danzatori alternati a motivi vegetali. La pregevole opera, attribuita al Magister Pellegrino, fu realizzata intorno alla metà del XIII secolo. Lo stesso maestro eseguì i rilievi con storie di Giona e pavoni, che decoravano in origine il parapetto della scala d’accesso al pulpito, prima che esso fosse trasformato nel secolo XVIII.
Il transetto risulta sopraelevato per dare spazio alla sottostante cripta, retta da colonne e capitelli su cui gravavano volte a crociera a sesto acuto, simile a quelle delle cattedrali di Calvi, Alife e Sant’Agata dei Goti. Eleganti stucchi barocchi decorano le arcate e la volta della navata centrale.
Per la costruzione della chiesa furono impiegate maestranze provenienti dai maggiori centri artistici dell’Italia meridionale: amalfitane, pugliesi e siciliane. Il cantiere si protrasse fino al XIII secolo con la realizzazione del porticato esterno tripartito in arcate, di cui quella centrale a sesto acuto e riccamente decorato da elementi architettonici e scultorei di reimpiego e medievali. Rilievi dal complesso programma figurativo, abbellivano gli archivolti del portico, con una folta serie di animali e di immagini sulla vita di S. Pietro e sul ciclo dei mesi. Tra i blocchi di recupero più notevoli vi sono pezzi di architravi in marmo proconnesio, provenienti dall’edificio scenico del teatro romano, decorati con maschere tragiche, pantere e tralci di vite. La facciata, a doppio saliente, è caratterizzata da un appariscente finestrone centrale, inquadrato da una edicola di tipo pugliese.
La cattedrale di Calvi Vecchia41 (fig. 8) costruita nella prima metà del XII secolo, presenta un impianto basilicale a tre navate, con transetto allineato e tre absidi sul fondo. La facciata è a doppio spiovente sulla navata centrale e ad un solo spiovente su quelle laterali. La chiesa trasformata nel XVIII secolo, con l’inserimento di pilastri interni e di una ricca decorazione barocca, conserva pregevoli arredi scultorei medievali e una bellissima cripta sorretta da colonne e capitelli provenienti dagli edifici della città romana.
La cattedrale di Carinola (fig. 6) fu eretta dal vescovo Bernardo tra il 1087 e il 1094, dopo il trasferimento dell’antica diocesi di Foroclaudio nell’odierno abitato. Dopo la morte di Bernardo, la chiesa fu notevolmente ingrandita con la creazione di una quarta navata che si inglobò il lato di un precedente chiostro adiacente alla navata sud della chiesa. Tra il XIV e il XV secolo fu trasformato integralmente l’interno della cattedrale con l’inserimento dei pilastri, delle volte a crociera a sesto acuto, dell’abside poligonale, della copertura pentagonale sul presbiterio e del monumentale arco trionfale.
Nel XVI secolo fu creato il portico, riutilizzando colonne, capitelli e sculture provenienti dall'edificio sacro eretto dal vescovo Bernardo. All'interno della cappella ove sono deposte le spoglie del vescovo Bernardo, in sarcofago romano, si possono ammirare i resti di un sacello paleocristiano, decorato da preziosi mosaici parietali del V-VI secolo e da una pavimentazione di tipo precosmatesco42.
La chiesa basilicale di Santa Maria in Foro Claudio a Ventaroli43 (fig. 9), a tre navate, divise all’interno da colonne e capitelli di reimpiego e conclusa da tre absidi che chiudono l’invaso spaziale. L’interno è impreziosito da importanti affreschi del XII secolo, con temi mariani, apostolici e in particolare su San Pietro. Nella parte bassa dell’abside centrale vi è la parte più sorprendente dell’intera decorazione pittorica, dove è raffigurato un velario decorato da cerchi più grandi e più piccoli che racchiudono rispettivamente figure di elefanti e rosette a quattro petali con bottone centrale. Negli spazi posti tra i cerchi vi sono rigogliosi elementi vegetali che richiamano un giardino paradisiaco, secondo un modello che s’ispira alle preziose stoffe orientali di provenienza persiana. Altri affreschi, realizzati nel XV secolo, riproducono attività artigianali e mestieri, secondo una rappresentazione realistica, quasi di tipo fumettistico. La cattedrale di Alife44, a tre navate, di fondazione Normanna, profondamente trasformata in periodo barocco, conserva dell’apparato architettonico originario un archivolto di una arcata, poggiante su mensole sorette da elefantini, decorato con figure umane, tralci vegetali e animali. Nella chiesa è presente una bella cripta del XII secolo, con volte a crociera poggianti su colonne e capitelli di spoglio provenienti da edifici di età romana.
Tra il X e l’XI secolo, si diffusero in Campania, sia sulla costiera amalfitana sia nelle aree interne della regione, luoghi di culto rupestri sorti in prossimità di importanti vie di comunicazione, di centri urbani e solo di rado in zone isolate. Queste cappelle rupestri erano dovute all’azione di una committenza religiosa e laica, che consentì di dare vita a contesti pittorici di grande interesse storico e talvolta di notevole qualità artistica. Oltre alle note grotte calene, quella dei Santi e delle Fornelle45, ora in completo stato di abbandono ei degrado, si ricorda la chiesa rupestre di S. Maria in Grotta a Rongolise46 (fig. 10), a pochi chilometri a sud ovest di Sessa Aurunca. Il sacello costituisce l’esempio più significativo in Campania per il sorprendente ciclo di affreschi che vi si conserva, che abbraccia un arco cronologico di circa cinque secoli. Tra i dipinti più belli e interessanti vi sono una Vergine in trono tra due angeli dipinta alla fine del X secolo e una pregevole Dormitio Virginis, della seconda metà del XII secolo, stilisticamente paragonabile con cicli pittorici macedoni di età tardo comnena. Altri sacelli rupestri sono localizzati nel territorio del Matese: la grotta di S. Michele a Curti di Gioia Sannitica47 e quella, sempre dedicata a S. Michele, a Raviscanina48.

(fine II parte)

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NOTE:
26 CV M. Oldoni (ed.), Chronicon Vulturnense del Monaco Giovanni scritto intorno all’anno 1130, IV, Cerro al Volturno 2010, 310-314.
27 Sul riuso e recupero di spolia, anche nel suo significato ideologico di sopravvivenza dell’antico nella città tardo antica e medievale, si veda: DE LACHENAL L., Spolia. Uso e reimpiego dell’antico dal III al XIV secolo, Milano 1995.
28 La chiesa di Alvignano è una basilica con spazio interno tripartito da due file di sei pilastri in mattoni, con abside di fondo e un’altra posta sul lato occidentale. Nella facciata si aprono tre ingressi in corrispondenza delle navate, preceduti da un nartece. Recenti indagini archeologiche hanno consentito di mettere in luce parti della pavimentazione originale realizzata in mosaico a tessere bianche e nere. Per le notizie sulla chiesa si veda: FRISETTI A., La basilica di S. Maria di Compulteria in Alvignano (Ce): nuove ipotesi di datazione della “Ecclesia Cubulterna in, A. Coscarella – P. De Santis (a cura di), Martiri, santi, patroni: per una archeologia della devozione, Atti X Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana, Università della Calabria, 15-18 settembre 2010, 2012, pp. 723-730.
29 Tale situazione è molto evidente a Sessa Aurunca ove sul lato settentrionale della piazza Tiberio Massimo, ove si è ipotizzata la presenza del Foro, sono i resti di un monumentale edificio in opera laterizia. L’edificio composto da tre ambienti concamerati coperti a volta, costruiti in opera mista di reticolato e laterizio, datato al II sec. d.C., è stato interpretato come il tabularium della città. Altre sostruzioni su arcate sono inglobate nel Castello medievale. A Teano la parte medievale dell’abitato conserva resti notevoli di edifici della città antica. Una parte del Castello poggia su una grande cisterna di età romana, mentre il monumentale complesso del Loggione fu costruito sui resti di una ricca domus, disposta in maniera scenografica su terrazze. Dotata di ambienti decorati da affreschi, pavimentazioni a mosaico e di un grande ninfeo rinvenuto all’interno del Monastero benedettino di Santa Caterina.
30 Cfr. GASPERETTI G., BALASCO A., 1996, pp. 23-41; FRISETTI A., Tecniche edilizie, cantieri e committenze nell’architettura altomedievale in Terra di Lavoro, in F. Marazzi (a cura di), Felix Capua, Atti del Convegno, Capua-Caserta 4-7 giugno 2015, Cerro al Volturno (IS), p.382.
31 Verso la fine dell’VIII secolo la città di Teano si collocava sulla frontiera tra i possedimenti della Chiesa di Roma e il Principato longobardo di Benevento. La Campania settentrionale fu oggetto di dispute territoriali, che favorirono l’intervento militare di Carlo Magno e il successivo patto territoriale fra Adriano I e il re franco. Tale situazione determinò il passaggio di Teano, insieme ad altre città poste tra la Valle del Liri e il Volturno, ai possedimenti pontifici. Su questo argomento si veda: BETTI F., Campania carolingia. I rilievi della cattedrale di Teano e il tentativo di espansione pontificia nel Ducato di Benevento, in Arte medievale, IV serie, anno VI, 2016, pp. 9-18. Tuttavia, la donazione non comportò un controllo effettivo da parte del papato sulla città che rimase di fatto parte integrante della Langobardia minor, divenendo prima sede di gastaldato di Capua e poi Contea dal secolo X. La città ospitò una importante comunità benedettina che fondò tre monasteri in prossimità delle mura, di cui restano significative testimonianze nella chiesa di S. Benedetto, di S. Maria de Intus e de Foris. Di San Benedetto non si conosce la data di fondazione, ma certamente era già esistente dall’anno 883 quando diede asilo ai monaci fuggiti alla distruzione di Montecassino da parte dei Saraceni (LECCISOTTI T, I Regesti dell’Archivio, VI, Roma 1971, p. 306.); S. Maria de Foris fu fondata nel 980 dal conte Atenolfo e da sua moglie Idelgarda (DI MARCO G., Breve storia feudale di Teano (I parte), in Il Sidicino, n. 11, Teano 2011, p. 4). Entrambe le chiese, conservano materiali di reimpiego di notevole interesse, tra i quali capitelli e colonne provenienti da edifici della città romana. Tra il X e l’XI secolo l’abitato si estese verso sud est rioccupando una parte dell’area della città antica e rendendo necessario l’ampliamento delle opere di difesa con nuove mura.
32 Sul castello di Sessa Aurunca si rimanda: EL NAGAR D., Castrum Suessae: storia e architettura di una fortificazione in Terra di Lavoro, tesi di laurea in Storia dell’arte medievale Università “La Sapienza” di Roma, relatrice prof.ssa Marina Righetti.
33 Sulla città di Sessa Aurunca e sui suoi monumenti medievali e post medievali in questa sede si indica una bibliografia di carattere generale: GUERRIERO U., La città di Sessa Aurunca, Pistoia, 1967; CARELLI E., Elementi architettonici durazzeschi e catalani in Sessa Aurunca, in Napoli Nobilissima, XI, I-III, 1972, pp. 33-45; VILLUCCI A. M., “I monumenti di Sessa Aurunca”, Scauri, 1980; VILLUCCI A. M., Testimonianze inedite d’arte sacra a Sessa Aurunca, tra 500, 600 e 700, Sessa Aurunca, Centro Studi Suessa, 1986; CARAFA R., La topografia di Sessa medievale, in Istituto Statale d’Arte di Cascano (a cura di), La chiesa di S. Agostino a Sessa Aurunca mostra didattica, Marina di Minturno, 1993, pp. 18-27; VILLUCCI A. M., Sessa Aurunca storia ed arte, Marina di Minturno, 1995; COMINALE P., GENTILE C., G. RAFFAELE (a cura di), Sessa Aurunca territorio, storia, tradizioni, cultura, 2014; VILLUCCI A. M, Sessa Aurunca: dalla protostoria alla II Guerra mondiale, in P. Cominale, C. Gentile, G. Raffaele (a cura di), Sessa Aurunca territorio, storia, tradizioni cultura, 2014, pp. 14-26; VILLUCCI A. M, Il patrimonio archeologico e artistico, in P. Cominale, C. Gentile, G. Raffaele (a cura di), Sessa Aurunca territorio, storia, tradizioni cultura, 2014, pp. 27-37.
34 Sulla chiesa di S. Biagio e sul ciclo di affreschi si veda: Cfr. ABATE F., 1997, pp. 149; MARESCA F., Il ciclo tardogotico della cappella di S. Biagio a Piedimonte Matese: tracce per una lettura iconografica, in Kronos 12, pp. 37-59.
35 Sulla cattedrale di Teano si rinvia alla seguente bibliografia generale: COLT HOARE R., Classical Tour through Italy an Sicily, vol. I (seconda edizione), London 1819, 249-261; PEZZULLI B. Breve discorso storico della città di Tiano Sidicino in provincia di Terra di Lavoro anticamente detta Campagna Ausonia, e ne mezzi tempi la Campagna Felice nel regno di Napoli, Napoli 1820, pp. 97-113; ASPRENO GALANTE G., Il restauro del Duomo di Teano, in La scienza e la fede, Anno quarantunesimo, IV serie – Vol. XXII, Napoli 1881, pp. 31-40; CANTORE CIPOLLA F., La tomba di S. Paride. La chiesa cattedrale di Teano nel medioevo, Napoli 1897; DE MONACO A., Glorie nostre, Teano 1957, pp. 65-109; DE MONACO G., ZARONE G., La cattedrale di Teano (II edizione), Napoli 2007; FONTANELLA R., Teano longobarda – normanna. Evidenze architettoniche cittadine: gli esempi di San Benedetto, San Paride ad Fontem e la cattedrale, in Rivista di Terra di lavoro. Storia cultura e società – Bolletino ufficiale dell’Archivio di Stato di Caserta, IX (2015), 20-22 - (http://www.rterradi lavoro.altervista.org/), pp. 11-36; BALASCO A., MESOLELLA G., Considerazioni su alcuni capitelli tardorepubblicani e augustei nel duomo e dal centro storico di Teano, in A. Palmentieri e F. Rausa (a cura di), Teanum Sidicinum. Nuove prospettive per lo studio della città e della sua storia, Napoli 2019, pp. 73-93; PALMENTIERI A., I reimpieghi di antichità nella cattedrale, in A. Palmentieri e F. Rausa (a cura di), Teanum Sidicinum. Nuove prospettive per lo studio della città e della sua storia, Napoli 2019, pp. 223-254.
36 Il pulpito ha subito spostamenti e trasformazioni significative nel 1680, quando il vescovo Boldoni lo fece smontare e spostare dalla posizione originaria in cui era collocato. Nella fase di rimontaggio si utilizzò materiale scultoreo di reimpiego proveniente da tombe monumentali del XIV secolo. Ciò avvenne sia per i leoni stilofori anteriori sia per le colonne e le lastre del parapetto riscolpiti nella parte posteriore con immagini di santi nel XVII secolo. Delle parti originarie dell’ambone del XIII secolo, rimangono un capitello, i panelli con i profeti Daniele, Isaia; Geremia e Amos e un frammento della balaustra della scala con l’episodio di Giona divorato dalla balena. Il pergamo attuale è frutto di una ricostruzione di Roberto Pane all’indomani dei moderni lavori di ricostruzione della cattedrale.
37 Per i frammenti scultorei di età longobarda della cattedrale si rinvia al seguente articolo: BETTI F., Campania carolingia. I rilievi della cattedrale di Teano e il tentativo di espansione pontificia nel Ducato di Benevento, in Arte medievale, IV serie, anno VI, 2016, pp. 9-18.
38 BOLOGNA F., I pittori alla corte angioina di Napoli”, Roma, 1969, p. 267; Catalogo, “Giotto. L’Italia. I luoghi, Verona, 2015, pp. 78-79.
39 Sulla cattedrale di Sessa Aurunca si veda: COCCHETTI PRATESI L., Rilievi nella cattedrale di Sessa Aurunca e lo sviluppo dei marmorari neo-campani nel XIII secolo, in Commentarii, IX, 1958, pp. 75-87; D’ONOFRIO M., PACE V., Italia romanica. Campania, Milano, 1981; VILLUCCI A. M., Note sui materiali di spoglio reimpiegati nella Cattedrale di sessa Aurunca, in Studia Suessana, III, Scauri, 1982, pp. 23-29; VILLUCCI A. M, D’ONOFRIO M., PACE V., ACETO F., La cattedrale di Sessa Aurunca, Sessa A., Centro Studi Suessa, 1983; CAPOMACCIO C., La basilica cattedrale di Sessa Aurunca, Gaeta, 1988; CAPOMACCIO C., La basilica cattedrale di Sessa Aurunca: iconografia ed iconologia, in F. Corvese, Desiderio di Montecassino e le basiliche di Terra di Lavoro: il viaggio dei Normanni nel Mediterraneo, Caserta, 1999, pp. 39-50; ABATE F., Storia dell’Arte nell’Italia Meridionale, Roma, 1997, pp. 181 e 221-223; CASTIÑEIRAS M., I loca sancta nel ciclo di Pietro nella cattedrale di Sessa Aurunca, in M. S. Calò Mariani (a cura di), Il cammino di Gerusalemme, Atti del II Convegno Internazionale di Studio (Bari-Brindisi-Trani, 18-22 maggio 1999, Bari, 2002, pp. 619-632.
40 Il tufo grigio è stato impiegato quasi sempre negli edifici sacri della zona di Caserta sia per i muri perimetrali che per i campanili, sia per le arcate delle navate a tutto sesto ed anche per i pilastri delle navate laddove utilizzati in sostituzione dei colonnati.
41 Su questa chiesa si veda: BERTAUX E., L’art dans L’Italie meridionale, Paris, 1904, p. 608; Cfr. D’ONOFRIO M., PACE V., 1981 p. 140; Cfr. SEVERINO N., 2011, pp. 9-23.
42 Sulla cattedrale di Carinola si veda: Cfr. ABATE F., 1997, pp. 147-148; LEVA G., MIRAGLIA F., Il restauro della cattedrale di Carinola (1966-72), in G. Fiengo, L. Guerriero (a cura di), Monumenti e documenti. Restauri e restauratori del secondo Novecento – Atti del Seminario Nazionale, Napoli, 2011, pp. 427-438; SEVERINO N., Carinola. La cattedrale di San Bernardo in Le luminarie della fede, Roccasecca, 2011, pp. 165-177.
43 Sulla chiesa di Santa Maria Foro Claudio a Ventaroli si veda: ABATE F., 1997, p. 161; LEVA G., MIRAGLIA F., Il restauro della basilica di S. Maria in Foro Claudio a Ventaroli (1968-1972), in G. Fiengo, L. Guerriero (a cura di), Monumenti e documenti. Restauri e restauratori del secondo Novecento – Atti del Seminario Nazionale, Napoli, 2011, pp. 459-470.
44 CIELO L.R., La cattedrale normanna di Alife, Napoli (Studi e testi di Storia e critica dell’arte, XVIII), 1984; GIANANDREA M., La cattedrale di Alife fra originalità e tradizione, in Civitas Aliphana: Alife e il suo territorio nel Medioevo, Atti del convegno ad Alife, 19-20 gennaio 2013, pp. 281-297.
45 Sulle chiese rupestri di Calvi si veda: Cfr. BERTAUX E., 1904; KALBY G., Le pitture delle grotte dei Santi e delle Formelle a Calvi, in Il contributo dell’archidiocesi di Capua alla vita religiosa e culturale del Meridione, Atti del convegno nazionale di studi storici promosso dalla Società di storia patria di Terra di Lavoro, Capua, 26-31 ottobre 1966, Roma, 1967, pp. 337-342; CAROTTI A., Gli affreschi della Grotta delle Fornelle a Calvi Vecchia, Roma, 1974.
46 Sulla cappella rupestre di Rongolise si rimanda alla seguente bibliografia: AA.VV., La chiesa rupestre di S. Maria in Grotta ed i suoi affreschi, in civiltà Aurunca, anno X, 26, Marina di Minturno, 1994; Cfr. ABATE F., 1997, p. 161.
47 DI COSMO L., Gioia Sannita (CE) – Nota sugli affreschi medievali della grotta di San Michele a Curti, in Annuario dell’Associazione storica del Medio Volturno, 2003, pp. 49-61; EBANISTA C., L’utilizzo cultuale delle grotte campane nel Medioevo, in S. Del Prete, F. Maurano (a cura di), Atti I Convegno Regionale di Speleologia Campania Speleologica, 1-3 giugno 2007 – Oliveto Citra (SA), p. 138.
48 FESTA L., “Arte e archeologia in grotte campane”, in Annuario Speleologico del Club Alpino Italiano, Napoli (1974-1975), pp. 28-29; CAIAZZA D., Oppidum Sancti Angeli cognomento Rabicanum. Dalla grotta sacra alla fortezza. Storia ed etimo di un toponimo, in L. Di Cosmo (a cura di), S. Angelo di Ravecanina. Un insediamento medievale nel Sannio alifano, Quaderni Campano-sannitici, II, Piedimonte Matese, 2001, p. 83, fig. a pp. 86-92; Cfr. EBANISTA C., 2007, p. 137.

Alfredo Balasco
(da Il Sidicino - Anno XIX 2022 - n. 9 Settembre)

Fig. 6. Teano, interno della cattedrale, ricostruzione di Roberto Pane (foto A. Balasco)
 
Fig. 7. Sessa Aurunca, interno della cattedrale romanica (foto A. Balasco)
 
Fig. 8. Calvi, absidi della cattedrale romanica (foto A. Balasco)
 
Fig. 9. Ventaroli di Carinola, chiesa di S. Maria in Foro
Claudio, particolare dell’interno (foto A. Balasco)
 
Fig. 10. Rongolise di Sessa Aurunca, interno della chiesa di Santa
Maria in Grotta (foto A. Balasco)