L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
Indice per autore
 
Indice Alfredo Balasco
 
 

Considerazioni su alcuni capitelli tardorepubblicani e

augustei nel duomo e nel centro storico di Teano (I parte)
 
già pubblicato in “TEANUM SIDICINUM / Nuove prospettive per lo studio della città e della sua storia” a cura di Angela Palmentieri e Federico Rausa, 2018, Giannini Editore.
 


Fig. 1. Teano, cattedrale, planimetria con ubicazione dei
capitelli 3, 4, 5 e 9 (da De Monaco, Zarone 2007).
 

Questo intervento vuole presentare, in forma del tutto preliminare, un gruppo di capitelli di reimpiego inediti provenienti dalla cattedrale (fig. 1)1 e dal centro storico di Teano (fig. 2)2. Il complesso dell’episcopio e della cattedrale è ubicato nella parte nordoccidentale della città, a ridosso delle possenti mura dell’arce, dove, secondo la tradizione, fin dal IV secolo vi era un luogo di culto sulla tomba di S. Paride. Il tracciato delle mura, intuito da Giuseppe Raiola3, fu poi confermato da Matteo Della Corte che eseguì degli scavi nel 1924 nell’area del seminario, pubblicandoli solertemente l’anno successivo4. La chiesa probabilmente fu edificata nell’area di un tempio dedicato al culto di Iside, come sembrano indicare le due sfingi in granito rosa, una antefissa in marmo con urei e sistro, un fregio, sempre in marmo, con urei e una base di labrum in granito grigio, riutilizzati in vari punti della cattedrale5. Durante la ricostruzione del dopoguerra sotto il lato sud della chiesa si rinvennero i resti di un grande edificio tardoellenistico in blocchi di tufo grigio, uniti senza malta, tuttora visibili negli ambienti sotterranei al di sotto del Cappellone del Sacramento. Nel corso degli stessi lavori furono posti in luce due basamenti di labrum in granito grigio uno è oggi collocato nel giardino vescovile - interpretati come basi di colonne in legno6. Nell’anno 2000, nel corso di indagini archeologiche all’interno dell’episcopio, fu scoperta una piccola cisterna che utilizzava come copertura dell’imbocco un frammento di epigrafe in marmo con dedica a Cornelia Saturnina, moglie dell’imperatore Gallieno7.
Ad ogni buon conto le testimonianze relative alle fasi più antiche del complesso, come si vedrà in seguito, sono molto sporadiche e confuse, mentre notizie più sicure riguardano la cattedrale eretta dai vescovi Guglielmo e Pandulfo, tra XI e XII secolo, in sostituzione di precedenti edifici di culto cristiani. Allo splendore della nuova chiesa, si riferisce in modo enfatico l’epigrafe incisa sull’architrave della porta sinistra: QUICQUID IN HAC AULA PRETII MELIORIS HABETUR PANDULFI PATRIS STUDIO PARTUM PERHIBETUR. La cattedrale romanica aveva un impianto basilicale, con tre navate separate da sedici colonne in granito grigio con capitelli di reimpiego, e terminava con tre absidi. Sul fianco esterno settentrionale si trova il poderoso campanile, con basamento in grandi blocchi in calcare e marmo provenienti da edifici d’età romana, mentre nei piani superiori sono utilizzati blocchi regolari di tufo grigio. La chiesa - come è noto - fu distrutta dai bombardamenti americani del 6, 16 e 22 ottobre 1943: si salvarono miracolosamente le arcate monumentali del presbiterio e del coro, quattro cappelle della navata destra, il cappellone di S. Paride e il campanile. Nella ricostruzione degli anni Cinquanta del Novecento, l’architetto Roberto Pane, incaricato del progetto, ripropose l’impianto spaziale della chiesa romanica, riutilizzando materiali antichi provenienti da più parti dell’Episcopio8.
Purtroppo Pane utilizzò i numerosi spolia (di età romana, tardoantichi, medievali e rinascimentali) recuperati con notevole libertà e senza indicarne i contesti di provenienza. Del colonnato interno furono ricollocate solo quattordici delle sedici colonne originarie; sei sostegni furono sostituiti con nuovi fusti levigati, per distinguerli dagli antichi. Anche per i capitelli e le basi si seguì un criterio rispondente meramente a criteri estetici, seppure in un contesto di grande equilibrio architettonico, tanto da fare ritenere la ricostruzione della cattedrale di Teano tra le migliori del dopoguerra in Campania. Da alcuni confronti tra la documentazione fotografica eseguita prima dei bombardamenti e la situazione odierna è emerso che la posizione dei capitelli non corrisponde, in buona parte, a quella originaria. Tali spostamenti hanno purtroppo provocato la perdita di informazioni preziose circa le modalità di riutilizzo degli spolia all’interno della chiesa medievale.
I bombardamenti, distrussero completamente le cappelle della navata sinistra, lasciando integri solo gli ambienti sotterranei, costituiti da tre vani posti trasversalmente alla chiesa. I vani furono interpretati come i resti della chiesa del IX secolo, riedificata dal vescovo Mauro su una chiesa precedente dedicata a San Terenziano a cui innalzò un ciborio. Di Mauro, non riportato nella cronologia dei vescovi teanesi, rimane testimonianza in un’epigrafe, ora scomparsa, scoperta nel 1753 nel corso dei lavori di ampliamento dell’Episcopio9. In sostituzione delle cappelle distrutte fu realizzato il grande cappellone del Sacramento, con l’intento di ricalcare l’ipotetico impianto spaziale della chiesa altomedievale. Allo stato attuale le strutture sotterranee presentano livelli di calpestio su quote differenti e caratteristiche strutturali e architettoniche dissimili, anche nell’impiego degli spolia. Tutto ciò fa presumere l’esistenza di fasi costruttive precedenti alla chiesa romanica, distribuite in un arco di tempo piuttosto ampio, almeno dal VI al IX-X secolo.
La fase paleocristiana è testimoniata da un gruppo di iscrizioni funerarie risalenti alla prima metà del VI secolo10, da una lastra tombale incisa con una croce latina, con al centro un incavo per l’alloggiamento di un decoro in pasta colorata, e da un frammento di pilastrino, ornato sui due lati contigui da un tralcio vitineo, anch’essi datati al VI secolo11. Tuttavia la mancanza di scavi stratigrafici impedisce di avere un quadro più preciso della successione delle fasi costruttive dell’intero complesso episcopale, per stabilirne la cronologia assoluta e relativa.
I lavori di ricostruzione del complesso della cattedrale si conclusero nel 1957, con la riconsacrazione della chiesa a S. Giovanni ante portam Latinam. Il titolo all’Evangelista, riportato già dall’Ughelli12, fu affiancato a quello di S. Terenziano, per volere del vescovo Domenico Giordano che nel 1753 decise una nuova intitolazione dopo la scoperta di un’epigrafe, ora scomparsa, che ricordava la ricostruzione di una vetusta chiesa dedicata al Santo patrono di Todi, ritenuto originario di Teano.
Occorre aggiungere che nel corso dei secoli il monumento ha subito varie distruzioni, tra le più devastanti l’incendio del 1520 che ne impose la ricostruzione, terminata nel 1522. Nel corso dei lavori l’area presbiteriale fu trasformata inserendovi il monumentale arco trionfale in stile rinascimentale, la maestosa cupola poggiante sulla muratura della tribuna sovrastante l’altare maggiore e un cupolino inserito nella volta a crociera del coro. Recentemente è stato proposto che la tribuna fosse stata già realizzata nel Trecento, durante l’episcopato di Goffredo Galluccio. L’ipotesi si fonda sulle caratteristiche stilistiche tardo angioine dell’arcata che accede al coro e sulla considerazione che il Goffredo Galluccio, signore di Rocca Rainola, Tora e Torre Annunziata, citato nella dedica dell’arco trionfale rinascimentale, è un omonimo del vescovo vissuto nel XIV secolo13. Entrambe le arcate sono sorrette da pilastri polistili, formati lateralmente da due colonne incassate in tufo e al centro da colonne sovrapposte di reimpiego, scanalate e tortili, in pavonazzetto e giallo antico.
Al di sopra delle colonne insistono capitelli in tufo, in parte coevi alle due arcate, e altri corinzi e corinzieggianti, in marmo bianco, di età giulio-claudia. L’impiego di colonne romane, addossate ai pilastri a sostegno di archi e volte a costoloni si riscontra di frequente nell’architettura angioina campana con lo scopo di dare maggiore risalto alle spoglie antiche, secondo un uso diffuso, che trova le proprie radici nella cultura paleocristiana e poi desideriana, volto a favorire un suggestivo dialogo tra l’antico e il moderno14. Bisogna considerare che Teano, dal 1308, fu feudo dei Del Balzo, una delle più potenti e influenti famiglie del Regno, ed è probabile che la loro presenza abbia inciso significativamente sulla città con interventi di abbellimento degli edifici più rappresentativi tra i quali rientra, probabilmente, la commissione del bellissimo crocifisso su tavola della cattedrale, attribuito al cosiddetto “Maestro della Cappella Barrile”15. Nella prima metà del XVII secolo il vescovo Giovanni De Guevara fece abbattere l’atrio colonnato medievale, già in rovina16, sostituendolo con un porticato a tre arcate, rette da pilastri decorati da lesene scanalate in blocchi di calcare17. Il terremoto del 1688 fece crollare l’ultimo piano del campanile e otto campate della navata destra che furono ricostruite nel 169018. Nel 1878 il cardinale Bartolomeo d’Avanzo promosse ingenti lavori di abbellimento della cattedrale che comportarono significative trasformazioni all’interno della chiesa. Non solo venne rifatta completamente la pavimentazione interna, con lastre di marmo bianco e bardiglio, secondo i canoni figurativi della cultura ottocentesca, ma furono anche sostituite alcune colonne delle navate, con lo scopo di raggiungere un’omogeneità dimensionale nell’altezza dei fusti. La sostituzione avvenne utilizzando colonne antiche raccolte nell’area dell’episcopio, procedendo poi alla pulitura dei fusti e al restauro dei capitelli di età romana, attraverso reintegrazioni delle parti mancanti, secondo un criterio stilistico molto diffuso nella cultura del restauro del XIX secolo19. La vastità e molteplicità degli interventi ricostruttivi rendono più complessa e controversa la lettura del monumento sia sotto il profilo storico sia per l’analisi dei materiali, delle tecniche e della decorazione architettonica superstite. Una difficoltà acuita dalla mancanza di indagini stratigrafiche e di precisi rilievi dell’intero complesso monumentale, nonché di studi complessivi o più specifici- dei numerosi spolia (capitelli, epigrafi, sarcofagi, blocchi architettonici, rilievi, sculture, ecc.) presenti nell’area della cattedrale e utilizzati nel campanile e delle modalità del loro reimpiego20.
Infine, ci sembra opportuno ricordare la testimonianza del viaggiatore e archeologo inglese sir Richard Colt Hoare che visitò il territorio sidicino e la città alla fine del secolo XVIII, segnalandovi, per la prima volta, la presenza delle due sfingi in granito rosa di età imperiale collocate ai lati della porta centrale della cattedrale21.
La competenza e la curiosità dello studioso inglese lo portarono ad individuare in modo corretto l’area della città romana e i suoi edifici più significativi, tra i quali il teatro e l’anfiteatro22.
(Fine I parte)
*****
Note

1 Desideriamo esprimere la nostra riconoscenza al prof. Federico Rausa per l’invito a partecipare a questo convegno con un contributo su alcuni interessanti disiecta membra dell’antica Teanum, reimpiegati nella cattedrale e in alcuni edifici del centro storico della città.
Il presente contributo nasce da un’idea di Alfredo Balasco cui si devono anche l’individuazione e la schedatura degli spolia considerati. I due autori hanno ampiamente condiviso l’impostazione generale e le idee presenti nel lavoro; più nel dettaglio, Alfredo Balasco ha curato la parte introduttiva e le considerazioni relative all’urbanistica della città e alle vicende del complesso episcopale, Giuseppe Mesolella le descrizioni degli elementi architettonici, alcune osservazioni sull’attività delle officine e la conclusione.
Per la cattedrale si vedano Colt Hoare 1819; Pezzulli 1820; Broccoli 1823; Moroni Romano 1860; Aspreno Galante 1881; Cantore Cipolla 1897; Raiola 1922; De Monaco 1948; De Monaco 1957; De Monaco - Zarone 1977; Pane 1983; Sirano 2003; Sirano 2006; Capasso - Cavallaccio 2004; De Monaco - Zarone 2007; Palmentieri 2010; Severino 2011; Fontanella 2015; Betti 2016.
2 Il centro storico di Teano presenta un impianto urbanistico racchiuso entro il tracciato circolare delle mura ed è caratterizzato da un tessuto edilizio notevolmente stratificato, ricco di emergenze monumentali di varie epoche. Una descrizione dettagliata della città e dei suoi monumenti la troviamo in un importante documento della prima metà del Settecento, conservato presso l’Archivio di Stato di Napoli (Repertorio degli Apprezzi, III inventario), recentemente reso noto da Giampiero Di Marco (Di Marco 2017). Nell’odierno impianto urbano è riconoscibile la viabilità, per cardini e decumani, della Teanum Sidicinum, contemporanea alle mura dell’arce, datate al IV secolo a.C. Le cortine murarie sono realizzate in grandi blocchi di tufo locale, accuratamente squadrati e messi in opera di testa e di taglio, con alcuni tratti che presentano rifacimenti successivi, ritenuti altomedievali (Della Corte 1925, 165-174; Della Corte 1928, 365-366; Gasperetti - Balasco 1996). Probabilmente, già dal V e VI secolo la città fu soggetta a trasformazioni significative, che comportarono estesi restauri alle mura della rocca e l’uso di sepolture in alcune aree interne all’arce, evidentemente per fenomeni di recessione economica e di contrazione demografica che comportarono il parziale abbandono della parte bassa dell’area urbana (Gasperetti 1993, 35-36; Sirano 2003, 95). L’arce e le aree limitrofe divennero sede di complessi religiosi, come la cattedrale e la chiesa paleocristiana di S. Pietro in Aquariis (Johannowsky 1963, 132), quest’ultima edificata nei pressi di un edificio in opera testacea, visibile fino a pochi anni fa, e probabilmente sovrapposta ad un tempio. Dall’edificio templare sembrano provenire i grandi blocchi in calcare collocati sotto il muro di sostegno del sagrato della chiesa e i fusti scanalati di colonna in marmo riutilizzati nel vicino muro di cinta del monastero benedettino di S. Caterina. La chiesa è costruita all’incrocio tra il decumano massimo e un cardine, tuttora riconoscibili nell’attuale impianto urbano. D’altronde la parte bassa della città antica tra l’età tardoantica e l’Alto medioevo, come si evince in un documento del Chronicon Vulternense dell’agosto 973 (CV, IV, 137), non fu mai del tutto abbandonata, ma frequentata e forse abitata per nuclei sparsi, concentrati in prossimità di edifici religiosi presenti nella Teano Vetere e retti dai monaci benedettini, possessori di chiese e terreni nella parte bassa della città antica. Verso la fine dell’VIII secolo la città si collocava sulla frontiera tra i possedimenti della Chiesa di Roma e il Principato longobardo di Benevento. La Campania settentrionale fu oggetto di dispute territoriali, che favorirono l’intervento militare di Carlo Magno con la caduta di Benevento e il successivo patto territoriale fra Adriano I e il re franco. Tale situazione determinò il passaggio di Teano, insieme ad altre città poste tra la Valle del Liri e il Volturno, ai possedimenti pontifici (Betti 2016, 14). Tuttavia la donazione non comportò un controllo effettivo da parte del papato sulla città che rimase di fatto parte integrante della Langobardia minor, divenendo prima sede di gastaldato di Capua e poi Contea dal secolo X. La città ospitò una importante comunità benedettina che fondò tre monasteri in prossimità delle mura, di cui restano significative testimonianze nelle chiese di S. Benedetto, di S. Maria de Intus e di Santa Maria de Foris. Di S. Benedetto non si conosce la data di fondazione, ma certamente era già esistente dall’anno 883 quando diede asilo ai monaci fuggiti alla distruzione di Montecassino da parte dei Saraceni (Leccisotti 1971); S. Maria de Foris fu fondata nel 980 dal conte Atenolfo e da sua moglie Idelgarda (Di Marco 2011). Entrambe le chiese conservano materiali di reimpiego di notevole interesse, tra i quali capitelli e colonne provenienti da edifici della città romana. Tra il X e l’XI secolo l’abitato si estese verso sud est rioccupando una parte dell’area della città antica e rendendo necessario l’ampliamento delle opere di difesa con nuove mura.
3 Raiola 1922, 51.
4 Della Corte 1925; Della Corte 1928.
5 Sirano 2006.
6 Johannowsky 1963, 131, n. 7.
7 Sirano 2003.
8 Pane 1957 e Capasso - Cavallaccio 2004.
9 Cantore Cipolla 1897, 31-32 e ora Fontanella 2015, 13-18.
10 V. in questo volume il contributo di G. Camodeca.
11 Betti 2016, 9.
12 Ughelli 1720.
13 In proposito v. Cantore Cipolla1897, 47 e Fontanella 2015, 20-22.
14 Aceto - Vitolo 2017, 13-18.
15 Aceto - Vitolo 2017, 53.
16 De Monaco 1948, 78.
17 Pezzulli 1820, 103.
18 Di Marco 2013.
19 Aspreno Galante 1881, 34.
20 Sulle epigrafi di V e VI secolo, vd. il contributo di Giuseppe Camodeca in questo volume. Per la decorazione scultorea di età longobarda e carolingia, costituita da una serie di notevoli frammenti provenienti da plutei, cibori, transenne, pilastrini e lastre tombali, il cui orizzonte cronologico si pone tra VI e XI secolo, si attende uno studio sistematico che dia loro il giusto risalto storico-artistico nell’ambito della produzione medievale in Campania. Solo di recente, questo aspetto, seppure limitatamente ad una classe di materiali collocati tra il VI e il IX secolo, è stato affrontato con il necessario rigore scientifico da Fabio Betti (Betti 2016).
21 Colt Hoare 1819, 251.
22 Nel corso della seconda giornata di studi del Convegno del 2016 fu fornita da chi scrive una notizia preliminare sull’importanza delle scoperte del viaggiatore inglese a Teano e che in questa sede saranno esaminate in dettaglio da F. Rausa.

Alfredo Balasco
(da Il Sidicino - Anno XIX 2022 - n. 12 Dicembre)

Fig. 2. Teano, centro storico, ubicazione dei
capitelli 10 e 11 (da Gasperetti, Balasco 1996).