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Considerazioni su alcuni capitelli tardorepubblicani e

augustei nel duomo e nel centro storico di Teano (II parte)
 
già pubblicato in “TEANUM SIDICINUM / Nuove prospettive per lo studio della città e della sua storia” a cura di Angela Palmentieri e Federico Rausa, 2018, Giannini Editore.
 


Fig. 6. Teano, la cattedrale dopo la distruzionedel 1943; da un negativo
del maggiore Paul Garder (archivio G. Angelone Media Var courtesy of NARA).
 

La conoscenza della decorazione architettonica lapidea di Teano è limitata per adesso essenzialmente ai marmi del teatro, provenienti tutti dallo scavo archeologico del monumento, che si riferiscono alla fase augustea e, soprattutto, a quella severiana dell’edificio scenico23. Ad essi si aggiungono alcuni frammenti della fine II-inizi I secolo a.C. relativi alla decorazione architettonica in tufo del tempio sovrastante il teatro e pertinenti a capitelli di tipo corinzio italico e a colonne scanalate di grande diametro provenienti dal colonnato del pronao24.
All’interno del centro storico di Teano (fig. 2), che occupa buona parte dell’arce dell’antica Teanum Sidicinum25, si conservano numerosi elementi architettonici reimpiegati in primo luogo nell’episcopio e nella cattedrale, ma anche nelle chiese, nei campanili e negli edifici del borgo medievale. Purtroppo, della maggior parte di questi materiali è ignota la provenienza, fatta eccezione per alcune epigrafi e per i blocchi in calcare riutilizzati nella base campanaria della cattedrale e in quella cinquecentesca della chiesa dell’Annunziata, in questo secondo caso probabilmente asportati dalla pavimentazione del Foro26 (fig. 15). Inoltre, le gravi devastazioni subite dalla città nel corso del secondo conflitto mondiale (figg. 6 e 7) hanno ulteriormente complicato la situazione, in particolare con la distruzione della cattedrale ove erano stati riutilizzati numerosi elementi antichi. Nella ricostruzione postbellica del duomo gli spolia furono infatti spesso ricollocati diversamente rispetto alla posizione che avevano nella chiesa medievale, snaturando quei criteri di rigorosa selezione e disposizione delle spoglie caratteristici degli edifici di culto desideriani e apprezzati per il valore nobilitante di un passato illustre. Per queste ragioni tali materiali, ormai privi di un preciso contesto, mancano di qualsiasi riferimento esterno per stabilirne la cronologia che può essere altrimenti definita su base tipologica e stilistica. Tuttavia da un’analisi dei pezzi emerge che furono probabilmente realizzati da maestranze di tradizione greca e microasiatica che elaborano una propria originale maniera espressiva nella quale vengono reinterpretati i modelli dei grandi cantieri urbani. A questo importante aspetto si aggiungono altri motivi di interesse alla diffusione del marmo e all’individuazione dei modelli circolanti e delle officine presenti nell’area.
La precocità dell’impiego del marmo nella decorazione architettonica e la presenza di officine specializzate in alcuni centri della Campania e del Lazio meridionale, come già evidenziato in altre sedi, coinvolge anche Teano sin dall’età del secondo triumvirato, confermandone il ruolo di cerniera tra il basso Lazio e la Campania27. A tale proposito va ricordata la presenza all’interno della città di una élite che comprendeva personaggi di grande rilievo e talvolta di rango senatorio già prima della colonia augustea, come recentemente dimostrato da Giuseppe Camodeca attraverso un attento esame prosopografico dei magistrati teanesi riportati in un frammento dei Fasti Teanenses28.
Passando ora all’esame degli elementi architettonici oggetto del presente contributo, tra i disiecta membra conservati nel duomo di Teano vi sono due piccoli capitelli corinzi inediti che si caratterizzano per l’uso molto precoce del marmo e per gli aspetti stilistici della decorazione che segue ancora modelli di tradizione ellenistica e di matrice italica.
Il primo capitello (diam. 30 cm circa; alt. 31 cm; alt. delle due corone 17 cm) (fig. 3), quello di dimensioni maggiori, è inglobato nel pilastro destro dell’arcata d’accesso alla quarta cappella lungo la navata destra, in prossimità del presbiterio.
Esso ha la parte superiore dell’abaco e delle volute molto danneggiata; il retro non è visibile perché murato. Il capitello mostra una doppia corona di otto foglie d’acanto piatte e aderenti al kalathos, che superano di poco la metà dell’altezza complessiva. Le foglie si compongono di cinque lobi che si raccolgono intorno alle costolature centrali, delimitate da profonde incisioni che si allargano progressivamente nella parte inferiore. I lobi sono articolati in fogliette piccole e piuttosto aguzze; dal contatto tra le punte delle fogliette dei lobi contigui si originano zone d’ombra a goccia tendenti alla forma triangolare, secondo lo schema del cosiddetto acanthus simmetrico, tipico delle officine del secondo triumvirato operanti a Roma ma anche in città campane come Capua e Pompei. Tra le foglie della seconda corona sono interposti corti caulicoli verticali, rivestiti da foglie lisce assimilabili a tubetti paralleli, secondo una tradizione tardorepubblicana, e conclusi superiormente da un doppio orlo formato da due tondini sovrapposti. Dai caulicoli verticali fuoriescono calici poco sviluppati e molto aperti, caratterizzati da fogliette aguzze analoghe a quelle dell’acanto della corona. Le elici sono formate da un nastro piatto con bordi rilevati che si arrotola in volute leggermente aggettanti. Lo stretto spazio tra le elici e le volute mancanti, che lascia a malapena percepire la forma del kalathos, è occupato da cortissimi tralci con rosette a tre petali con bottoni centrali29. Al di sopra della foglia centrale della seconda corona ha origine un massiccio stelo che si conclude nel fiore dell’abaco, molto rovinato, in cui si intravede il bottone centrale.
Le zone d’ombra pressoché triangolari, le fogliette appuntite dell’acanto, la presenza dei tralci con rosetta tra le elici e le volute, trovano sicuri confronti con capitelli secondotriumvirali di Capua, Pompei, Benevento (figg. 12, 13 e 14)30 e a Roma nei capitelli dei templi del Divo Giulio31, votato nel 42 a.C., di Saturno32, sempre del 42 a.C., e di Apollo Palatino.33
(Fine II Parte)
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Note
23 Sui marmi e la decorazione architettonica del teatro di Teano si vedano: Pensabene 2005; Sirano 2010; Sirano 2011; Beste 2010; Beste 2011; Balasco 2011, 82-83.
24 Sulla decorazione in tufo dall’area del tempio in summa cavea si veda lo studio preliminare di Rosaria Sirleto: Sirleto 2011.
25 Per il centro storico si rimanda alla nota 3 del presente contributo.
26 I blocchi in calcare, messi in opera di testa e di taglio, reimpiegati nel basamento del campanile dell’Annunziata, costruito tra il 1502 e il 1503, hanno dimensioni che ben si adattano al lastricato di un grande spazio pubblico all’aperto. Alcuni blocchi hanno profondi alloggiamenti per l’inserimento di grandi lettere in bronzo, chiaramente riconducibili ad una monumentale iscrizione pavimentale, inserita probabilmente nella parte centrale del Foro cittadino, in analogia ad altri centri romani. Altre lastre, presentano tracciati di cantiere sulla superficie a vista, che raffigurano incisioni circolari e lineari; sui tracciati di cantiere si veda: Inglese-Pizzo 2014. Un caso analogo di riutilizzo di grandi lastre pavimentali, per la costruzione di una chiesa, lo si trova nella cattedrale di Sessa Aurunca, recentemente riesaminato da S. Cascella (Cascella 2016, 62-67).
27 Nella produzione di elementi architettonici del Lazio meridionale, per molti aspetti affine a quella campana, sono state infatti individuate due componenti distinte, riconducibili da un lato a Roma, dall’altro alle città campane (soprattutto Capua, Pozzuoli e Napoli) ove nei decenni finali del I secolo a.C. operano officine di provenienza (o formazione) greco-orientale che, con il loro bagaglio di esperienze tecniche, stilistiche e culturali, reinterpretano in modo originale i modelli e il linguaggio architettonico elaborati nei grandi cantieri della capitale. Tali officine, molto attive in area campana almeno dall’età secondo triumvirato, introducono varianti decorative, come si vedrà in seguito, di notevole interesse anche rispetto alla coeva produzione urbana. Come è noto, la conoscenza della decorazione architettonica lapidea di età romana della Campania è ancora piuttosto parziale per la carenza di repertori e di studi di carattere generale. Tuttavia, negli ultimi anni alcuni importanti contributi hanno apportato nuovi dati e informazioni sull’argomento, soprattutto per quanto riguarda l’area pompeiana e quella flegrea. Ci limitiamo qui a ricordare la monografia di H. Heinrich (Heinrich 2002), incentrata sulla formazione e l’evoluzione del linguaggio decorativo di età augustea (studiato essenzialmente su materiali pompeiani), e, per Pozzuoli, l’ampio lavoro di Filippo Demma sulla decorazione architettonica della città in età medioimperiale (Demma 2007), il rigoroso studio di Giuliana Cavalieri Manasse e Fausto Zevi sul tempio del rione Terra (Zevi, Cavalieri Manasse 2005) e ancora i diversi contributi di Fausto Zevi e Claudia Valeri su alcuni importanti edifici o complessi monumentali di età augustea (Zevi, Valeri 2009). Oltre a questi lavori, che hanno gettato nuove basi per lo studio della decorazione architettonica di età tardorepubblicana e augustea in Campania, vanno ancora segnalati un articolo di Patrizio Pensabene sui programmi decorativi degli edifici per spettacolo della regione (Pensabene 2005) e un altro sugli elementi di reimpiego a Sant’Agata dei Goti (Pensabene 2014). A questi contributi, va aggiunto un importante studio di Elsa Nuzzo sulla formazione del linguaggio architettonico a Cuma in età augustea (Nuzzo 2010). Vanno infine ricordati la recente monografia di Giuseppe Mesolella sulla decorazione architettonica dei centri costieri del Lazio meridionale tra l’età secondotriumvirale e quella giulio-claudia (Mesolella 2012) e un articolo di Massimiliano Valenti (Valenti 2010), che, pur riferendosi al territorio del Latium adiectum, offrono dati e riscontri utili per l’analisi della decorazione architettonica campana. Occorre in ultimo aggiungere un recentissimo studio di Sergio Cascella sulla storia e gli edifici dell’antica Suessa, ove si esaminano gli aspetti legati all’introduzione e alla diffusione del marmo nella decorazione architettonica degli edifici pubblici del centro aurunco in età romana, in modo particolare per il teatro e per i disiecta membra reimpiegati negli edifici della città medievale (Cascella 2016). In particolare, nel corso della seconda campagna di scavo del Teatro di Suessa, l’autore ha rinvenuto, alle spalle della porticus post scaenam, un deposito di blocchi architettonici in tufo pertinenti a cornici e pilastri di semicolonna con capitelli corinzi e ionici. Le parti decorate dei capitelli corinzi, lavorati in due blocchi separati, si caratterizzano per la presenza di un viticcio collocato nello spazio vuoto tra le elici avvolte in spirali e le volute. Tali elementi permettono di datare alla prima metà del I secolo a.C. questi materiali che sarebbero quindi leggermente più antichi dei capitelli di Teano, dai quali si distinguono però per l’impiego del tufo al posto del marmo.
28 Camodeca 2007.
29 La presenza del fiore posto tra le elici e le volute trova confronto in un grande capitello in tufo del Museo archeologico di Teano (fig. 10), lavorato in un solo blocco di tufo. Il capitello presenta una doppia corona di foglie d’acanto che avvolge il kalathos, di altezza inferiore alla metà di esso. L’acanto si avvicina ai tipi del secondotriumvirato, con nervature molto profonde nel corpo centrale della foglia e ampie concavità nei lobi delle fogliette aguzze che accostandosi formano zone d’ombra triangolari. Negli spazi tra le foglie del secondo ordine sporgono cauli larghi, segnati da profonde scanalature verticali e chiusi da un orlo pronunciato. Dai cauli si staccano volute a nastro piatto e orlato ai lati, le elici sono ugualmente piatte. Le rosette poste tra le elici e le volute hanno la corolla danneggiata e presentano uno stelo tortile. L’abaco, a lati inflessi e fortemente fratturato, presenta il gran fiore centrale molto rovinato e collegato ad un grosso stelo. Le caratteristiche stilistiche dei capitelli di Teano, rimandano, con qualche scarto nella datazione, ai capitelli in tufo di Sessa (Cascella 2016, 39 fig. 17, 43 fig. 25), al capitello di Capua (fig. 8), ad un frammento di capitello del Museo archeologico di Aquileia (Cavalieri Manasse 1978, 58-59 Tav. 10, fig. 25), ad una serie di capitelli di lesena di Benevento (figg. 12-14) e mostrano analogie con i noti prototipi urbani di Roma.
30 Da Benevento proviene un gruppo di capitelli corinzi di lesena (figg. 12, 13 e 14) che presentano una resa dell’ornato più morbida di quelli di Teano e più vicina ai modelli urbani sempre di età secondotriumvirale. La serie propone, con lievi differenze dimensionali, il medesimo schema corinzio con elici sprovviste dei caulicoli, zone d’ombra delle foglie d’acanto con lobi accostati, che creano le tipiche zone d’ombra ad occhiello e a triangolino chiuso e aperto. Lo spazio tra le elici e le volute è occupato, in due esemplari, da una rosetta a quattro petali, con bottone centrale e stelo tortile, mentre nel terzo capitello da un fiore a calice aperto.
31 Montagna Pasquinucci 1973, tav. IX, c-d-e.
32 Pensabene 1984.
33 Bauer 1969.

Alfredo Balasco
(da Il Sidicino - Anno XX 2023 - n. 1 Gennaio)

Fig. 15. Teano, campanile dell’Annunziata:
blocchi di reimpiego dal Foro.
Fig. 7. Teano, la cattedrale prima e dopo la distruzione del 1943.
(Archivio L. Di Benedetto).
Fig. 3. Teano, cattedrale, capitello corinzio.
Fig. 12. Benevento, Rocca dei Rettori, capitello
corinzio di lesena.
Fig. 13. Benevento, Ponte Calore, capitello
corinzio di lesena.
Fig. 14. Benevento, museo del Sannio, capitello
corinzio di lesena.