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A proposito di soprannomi...

L'argomento, volutamente frivolo, rappresenta, nella intenzione di chi scrive, una sorta di ponte tra presente e passato, ovviamente senza pregiudizio per il futuro, nel qual caso è l'oggi a collegare tra loro i due corni temporali del prima e del dopo.
Ciò premesso partiamo da una domanda: esistevano i soprannomi nell'antica Teanum Sidicinum?
Sono sicuro che molti conoscono la risposta: In soccorso di quelli che la ignorano ecco l'intervento provvidenziale della maieutica di socratica memoria, ossia le coordinate utili trovare la risposta:
1) nel IV secolo a.c. i Sidicini divennero “federati” di Roma
2) in età augustea (I secolo a.c.) Teanum Sidicinum diventò Colonia Romana
3) nell'ordine degli elementi costituenti il nome romano il soprannome (detto allora “agnomen”) occupava il quarto posto; veniva subito dopo il “cognomen familiare” , che a sua volta era preceduto dal “nomen gentis” e questo dal “praenomen personae”.
A questo punto entriamo nel merito con la sincera e non troppo segreta speranza di offrire - a seconda dello status anagrafico del lettore o una boccata di buonumore (e solo Iddio sa quanto ne abbiamo bisogno) o una fugace e distensiva rivisitazione del passato nel quale, volenti o nolenti, affondano le nostre radici, anche attraverso i soprannomi, i quali hanno sempre avuto e tuttora conservano, prevalentemente, una funzione identificativa; solo raramente esprimevano e tuttora esprimono idee e/o condizioni dispregiative.
Nella carrellata appresso presentata, sicuramente incompleta e lacunosa, ogni caso citato, nella sua caratterizzazione rigorosamente dialettale, è solo un tenero e nostalgico ricordo di personaggi che, purtroppo, non sono più tra noi: ne avvertiamo sinceramente addolorati la mancanza e a tutti rinnoviamo il nostro fraterno affetto assieme al doveroso rispetto ed alla personale simpatia.
Il primo caso che vogliamo presentare, opportunamente organico al titolo, e quello di “Peppino u cacciutt”, alias Peppone, che la mia generazione forse ricorda; ma non sono molti a sapere che stiamo parlando di un parente di un nostro illustre concittadino, il Prof. Aristide Parolisi, autore del testo “Teano dei Sidicini” (1907), nato al borgo S. Antonio Abate, dove la famiglia del nostro compianto Peppone ha gestito fino agli anni ottanta un modesto esercizio commerciale. Chissà se scopriremo mai perché lo chiamavano “u cacciutt”, come a dire un cagnolino, atteso che il suo aspetto e la mole erano che umane e normali.
Un caso opposto, relativamente alla possibilità di identificare il soggetto attraverso il soprannome, è quello di “on Pascale u banculott”. Qui, infatti, il soprannome fa subito pensare al titolare della locale ricevitoria del lotto, un signore ben noto a quelli della mia età, non solo per via della sua attività e notevole stazza, ma anche per la sua carica di umanità e simpatia.
Stesso discorso per “Gigino o' luong”. Un bravissimo sarto, uno spilungone ed un fior di galantuomo che esercitava sulle gradinate di Piazza Umberto, lato Loggione. Poco lontano da lui, all'angolo tra la Casina e via Nicola Gigli, sorgeva un emporio gestito da “Nicola a' cazetta”. Personalmente non l'ho mai colto in flagranza, ma molti giurano di averlo sorpreso mentre sferruzzava.
I più originali, se non altro perché erano dotati di sufficiente autoironia, risultano essere “Totonn Mmalaurio” e “Onnandonio u' cornuto”. Si narra che una sera il primo dei due, seduti davanti ad un quartino di quello rosso, abbia detto all'altro: “…non ce la faccio più a vedere persone che incontrandomi, si toccano nella parte dei pantaloni che voi sarti chiamate cavallo. Meno male che c'è ancora qualcuno come te che non ha paura di frequentarmi” e l'altro: “ per forza, tu sei l'unico che, vedendomi, non si porti la mano alla fronte…!”
Il repertorio, invero, sarebbe ancora ricco e succoso, ma non voglio abusare della pazienza dei lettori, cosicché mi avvio alla conclusione ricordando il caso di quattro fratelli che, tutti panettieri, erano conosciuti come i “l' urdima messa”, perché, si dice, nei giorni festivi si presentavano in chiesa sempre insieme e solo all'ultima messa della giornata.
La chiusura la affidiamo ad un personaggio davvero popolarissimo e degno senz'altro di fare da portabandiera: si tratta di “Luigi a' titella” così soprannominato perché era una voce familiare, come quella del gallo che annunzia il giorno o della gallina che ci regala l'uovo. Tra l'altro faceva il banditore e conduceva tutte le riffe e le lotterie delle varie feste del comune. La sua voce, inconfondibile, negli ultimi tempi si faceva precedere da una trombetta per bambini, una specie di avvisatore acustico, accompagnato dall'attacco di rito: “bbona ggè” (buona gente) e quindi dal messaggio, immancabilmente dialettale e colorito, che costituiva l'oggetto del bando.

Nello Boragine
(da Il Sidicino - Anno II 2005 - n. 3/4 Marzo/Aprile)