L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
Indice per autore
 
Indice Claudio Gliottone
 
 

C'era una volta... Il passeggio per il Corso

 

Aspettavamo sempre con ansia che si facessero le sei, al sabato e domenica anche le cinque, Era l'ora in cui, studenti dodicenni delle scuole medie, ci era consentito uscire; il rientro rigorosamente alle venti, solo in qualche rara occasione alle ventuno. Alla festa patronale potevamo anche far tardi, ma dovevamo farci vivi ogni tanto e rimanere in zona.
Ma perché tanta ansia, tanta attesa per qualche ora di libertà? Cosa ci prospettava la serata: feste da ballo, cinema, discoteca, bowling. sala giochi?
No, no, niente di tutto questo. Ci aspettavano gli amici per un infinito numero di "giri", li chiamavamo così, per il... corso.
Quanto era bello il "giro per il corso"! Pullulava di gente che come noi andava su e giù per ore lungo quei non più di trecento metri che dall'inizio delle rampe del Vescovado portavano, dalla parte opposta all'inizio di via Mercato. Alle estremità del percorso due fontane ne segnavano il limite, quasi ad offrir ristoro al viandante. Quella che delimitava l'inizio di via Mercato portava fusi nel fusto i simboli del ventennio, un fascio littorio ed una data in cifre romane "anno... dell'E.F."; qualche nostalgico sosteneva che la sua acqua era molto buona!
Qui, come per un tacito accordo mai stipulato, ci si voltava di scatto, salvo qualche eccezione per una bevuta da fare più per devozione che perché si avesse sete; lo stesso avveniva dall'altro lato, dove il limite netto era segnato dalla fine delle "basole" e l'inizio del bitume. Quanta vita in quei trecento metri!
C'erano i politici che continuavano a far progetti destinati a non realizzarsi mai; c'erano i professori alla cui vista cercavamo di occultarci, che discutevano di tutti i problemi scolastici del mondo; gli operai che dopo una giornata di lavoro, sedevano al bar a sorseggiare qualche birra; le donne, uscite per le ultime spese per la cena. E poi c'eravamo noi ragazzi, a coppie, a gruppetti ristretti, da soli ad aspettare, col candore ed il batticuore dei dodici anni di tanti anni fa, qualche amichetta adocchiata a scuola.
A volte si faceva fatica a passeggiare, tanta era la gente: una persona la salutavi e risalutavi almeno venti volte in una sola sera, perché non era educato incrociare lo sguardo e non accennare un nuovo saluto. E così di nuovo il giorno dopo, sempre gli stessi, ma sempre più bello. I pochi negozi erano aperti fino a tardi: qualche salumeria, un paio di bar, una gioielleria, un barbiere, un negozio "Singer", due giornalai, un parrucchiere, un negozio di bottoni proprio all'angolo di via Nicola Gigli. E, di fronte, il mitico "Nicola a cazetta"!!!
Lo chiamavano così, il vecchio Nicola, perché aveva la passione di lavorare le maglie, più specificamente le calze, che confezionava intrecciando abilmente e con rara velocità tre ferri insieme. Era uno spettacolo: di poche parole incassava le tue dieci lire continuando imperterrito a sferruzzare. Si, dieci lire, perché solo tanto costava la nostra felicità legata ad un giochino di latta, ad una trottola di legno, ad una serie di innocue miccette. Questi erano gli articoli del suo pvero negozio che prendevamo d'assalto, specie all'uscita dalla scuola, e che ci sembrava comunque una standa. L'altro mitico negozio, più avanti, lungo il corso Vittorio Emanuele era la "semenzara" o, italianizzato, "la semenzaiola". L'anziana signora, di bassa statura e dai capelli candidi ed ondulati vendeva prevalentemente sementi, donde il nome, d'ogni tipo: insalata, verdure, fagioli, ceci, pomodori, erba, fiori. Ma in quel negozio c'era di tutto e di più. Era anche una cartoleria e quindi una meta fissa per noi, fin da quando, alle scuole elementari, andavamo a comprarvi i quaderni rigorosamente neri sui quali, dopo ampia slinguata, la stessa signora appiccicava una bianca etichetta.
Qui compravamo i pennini, quando ancora si usava l'inchiostro che un solerte bidello pensava quotidianamente a rabboccare nel calamaio di ogni banco; e poi le prime penne a sfera, aborrite dai nostri maestri che tutt'al più ci concedevano la penna stilografica; e poi le lettere di Natale e di pasqua, traboccanti di luccichii e stelline, e gli album da disegno ed i compassi e persino la carta velina per fare aquiloni che non si sollevavano mai da terra.
I più audaci di noi ad un certo punto sparivano dal corso: si andava a fumare una trasgressiva sigaretta, racimolata chissà come, "dietro i vicoli". Ma la tensione era tantissima. C'era sempre qualcuno che passava e, anche se non ti conosceva, si sentiva legittimamente autorizzato a farti una ramanzina. Ne avessero fatta qualcuna in più, molti di noi non avrebbero il brutto viziaccio! Più sicuri dagli sguardi indiscreti erano "le macerie" che ancora esistevano dove oggi sorge il palazzo Boragine; ma bisognava contendersele con qualche coppietta appartata. Il passare, nello stesso posto, dalla sigaretta alla amichetta voleva dire essere cresciuti. Fare le due cose assieme rappresentava il massimo della realizzazione.
C'era poi il problema di occultare la puzza di fumo alle sensibilissime narici dei genitori. Qualcuno riteneva che masticare della mollica di pane era il rimedio migliore, ma girare con un pezzo di pane in tasca non era delle cose più edificanti per chi si atteggiava a grande. Ed allora i più fortunati, quelli che disponevano di qualche dieci lire, compravano delle caramelle al latte che una anziana altissima signora, presso il bar di Carrelli, ti snocciolava da un bancone alto quanto lei.
Le sigarette, invece, le compravamo da "don Ciccio", un simpatico vecchietto che aveva dichiarato una guerra personale alla bestemmia: il suo negoziuo era tappezzato di santini e di perentori inviti a non bestemmiare. In effetti uno stimolo intrattenibile per qualche burlone che entrava nel tabaccaio prendendosela con tutti i santi per scatenare le simpatiche ire di don Ciccio. Ma la cosa aveva una spiegazione: don Ciccio aveva un fratello prete, ed anche dei più stimati. Si comprava una esportazione senza filtro per dieci lire. Poi uscirono le esportazioni col filtro, ma il prezzo salì a undici lire e subito scattò la società con qualche amico per comprare, per venti lire, una esportazione col filtro ed una nazionale. La società doveva durare almeno due giorni, perché a chi fumava la esportazione oggi toccava la nazionale, di minor pregio, domani. Ma tutte e due puzzavano da morire.
Allo scoccare delle otto si tornava a casa, felici di niente e per niente. Ci aspettavano i genitori, una calda cena e... Carosello. E, dopo Carosello,... tutti a nanna!

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno I 2004 - n. 3 Marzo)