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Cose così,... di fantasia! - 3

 

Quella sera di metà agosto la tipica "ventarella" che viene da est, dalle falde del Matese, e che spira giusto quell'oretta necessaria a rinfrescare le menti dei teanesi, che pure ne hanno tanto bisogno, pareva proprio non volerne sapere.
Era stata una giornata molto calda: le "basole" di via Nicola Gigli parevano roventi al punto che i gatti attraversavano la strada saltellando, per non scottarsi i polpastrelli delle zampe. Qualcuno di loro cercava refrigerio sotto la solita macchina parcheggiata in divieto di sosta davanti all' ingresso del Museo, alla faccia di tutti i divieti ed i paletti dissuasori di sosta. Sui più robusti anche le pulci erano venute in superficie alla ricerca di un po' d'aria fresca.
Il buon Damiano era sudato fradicio, alle prese col fumo acre di alcune candele che il buon senso del momento non aveva dissuaso alcune bizzoche dall'accendere, con notevole peggioramento della situazione termica della piccola chiesa. E poi quella grossa tonaca scura, di panno massiccio, pesava da morire.
- Se non fossi santo mi metterei in canottiera! - sbottò alla fine.
- Ma perchè non lo fai? - rispose pronto Cosimo mentre affondava la testa nell'acquasantiera per fortuna ancora colma di acqua - Tu lo sai bene che l'abito non fa il monaco, ed il monaco può rimanere tale anche senz'abito!
Le ultime parole furono accompagnate da un risolino di soddisfazione, come di chi crede di aver proferito una profonda verità.
- Ma tu vire che scemo! E se poi entra qualcuno all' improvviso io che gli dico: scusate, ma sono un monaco anche se sono spogliato? Non mi pare tanto una bella scena!
Fu proprio allora che si sentirono tre forti rintocchi all'uscio della chiesa. I due santi sobbalzarono:
- Hai visto? E se i' mo' steve spugliato sa' che bella figura! Ma a chest'ora che vanno truvanno? Vai ad aprire, va'!
Cosimo si precipitò quasi inciampando nella cassetta delle elemosine che non aveva visto perchè occupato a tergersi il sudore. Per poco non gli scappò una imprecazione, ma si ricordò giusto in tempo di essere un santo.
- Uheeee! Guarda chi ce sta! Damiano, Damianooo!
- Ma che allucche a ffà? Stammo sulo io e te, a quattro metri di distanza, int'a' na chiesa vacante e tu allucchi! …Chi è, se pò sape'?
- È Paride, il Patrono!... Maronna comme sta' ncazzato!
- Cosimooo! Ma ti pare il modo di parlare di un santo!
- Scusa Damià, ma chillo tene na faccia scura comm' o' carbone. Chissà che cacchio gli è successo!
- E dalli!! Tu sei un caso irrecuperabile.
Pronunciando le ultime parole, con fare atletico balzò giù dalla nicchia e si diresse verso l'ospite sopraggiunto. Lo abbracciò con calore; non si vedevano da due o trecento anni, ma, in fondo in fondo, quella visita se l'aspettava.
- Paride! Da quanto tempo! E' sempre un piacere vederti; ti conservi proprio bene!
- E ci credo, rispose acido San Paride, io respiro aria pulita! A me, dico, a me tutte queste candele non le accendono mai!
e sottolineò la frase con un eloquente gesto della mano.
Damiano comprese subito che tirava brutta aria e fece strada al collega. Cosimo aveva già preparato due sedie impagliate davanti all'altare; vi si accomodarono. Lui preferì appoggiarsi alla balaustra dell'altare, continuando a sventolarsi con un foglietto della messa dimenticato su uno scanno.
- Allora, Paridu', a che dobbiamo il piacere di questa visita?
- Il piacere? Damià. il piacere? Ma se stò incazzato nero!
Damiano deglutì per l'imbarazzo ed accennò, senza farsene accorgere, un segno di croce.
- Il piacere! Cos' e' pazze! Duemila anni di onorato "patronato", secoli di grazie, sorveglianza discreta su tutta la città, pure dal dragone, pure dal dragone li ho liberati, e questi farabutti che fanno! Manco più la festa mi fanno!
Manco na luminaria, manco na' bancarella, na' parmigiana e' melenzane, na' botta o' scuro!
Ma tu vire che gente! Che gente!
Il suo volto, notoriamente scuro di carnagione, andava diventando sempre più paonazzo, man mano che si accendeva di risentimento.
- Ma come? A sant'Antonio fanno na' festa e' pazze; a voi dduie non ne parliamo. Persino a sant'Antuono Abate e a Santa Reparata. E a me, a me che sono il patrono che dicono? "nun ce stanno i soldi". E' capito? "nun ce stanno i soldi".
- Va bbuò Paridù, non te la devi prendere. Ma o dicono tutti che tu vuò bene ai furastieri! E allora non ti lamentare, è come se tutte queste altre feste le facessero a te.
- E poi a te t'hanno fatto a statua e' argiento!
sottolineò con un pò di acredine Cosimo, seduto a cavalcioni sulla balaustra.
- A' statua e' argiento..! Se l'hanno fatta pure arrubba'!
- Si, ma poi te l'hanno rifatta.
- E non mi piace. Non sto bene. A mezzo busto non mi piaccio!
- E ja', nun fa' u' restivo - riprese dolce Damiano - quest'anno è andata così perchè c'è stata la crisi economica, l'euro ci ha un po' sbandati economicamente. Ma i teanesi ti vogliono bene!
- Nunn'è overo! Pure nel 1972 rischiarono di non farmi la festa. Per fortuna si misero in mezzo dei giovani di un Gruppo Giovanile cattolico ed intervenne anche l'onorevole Mancini all'ultimo momento. E poi le feste che fanno a me sono sempre arrepecchiate!
Dalla rabbia andava passando alla dolce rassegnazione:
- Forse hai ragione, Damià. Le feste, in fondo, sono pura esteriorità. Noi lo sappiamo che quel che conta sono altre cose, che il Principale ci apprezza per quel che facciamo e non per gli onori che riceviamo, ed il suo apprezzamento vale mille volte di più dell'apprezzamento degli uomini. Noi continueremo a fare il nostro dovere in silenzio, e saremo contenti lo stesso.
Hai proprio ragione, Damià. Hai proprio ragione!
Le ultime parole le sussurrò quasi. Poi d'improvviso, urlando:
- Ma cacchioooo....
Damiano gli si gettò addosso e lo abbracciò stretto, più per non fargli completare la frase che per esternargli la sua solidarietà.
Si sentì frattanto il tintinnio delle chiavi del sacrestano che si accingeva ad aprire la porta: Cosma e Damiano si precipitarono nella loro nicchia e Paride, sempre più rosso di calore e di furore, sparì in una nuvola d'incenso.

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno I 2004 - n. 9 Settembre)

I “fedelissimi” dei Santi Medici mentre depongono le statue dal carro al termine della processione,
in una foto di Tonino Gammardella di fine anni ‘70.
Un rito che si ripete ancora con sempre più intenso fervore.