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Quando il "Presepe Vivente"...

 
o la "Festa dell'Unità" erano la conclusione di un percorso e la premessa per un nuovo discorso!
 

L'umanità e la sua storia andranno sempre avanti, ne siamo tutti convinti.
Né ci piace piangerci addosso e lamentarci, come di solito fanno gli anziani, che le cose un tempo erano diverse; che tutto, prima, era meglio.
Ricordo un comico che parafrasando questo vezzo degli anziani, che allora dicevano come tutto fosse meglio “prima della guerra”, asseriva che aveva sentito qualcuno di loro affermare che anche le guerre di “prima della guerra” erano un'altra cosa.
Ma questa convinzione non ci esime dall'analizzare alcuni cambiamenti sostanziali che potrebbero, nel tempo, avere delle conseguenze di cui a stento ci si rende conto oggi.
L' “io ricordo” diventa qui inesorabile, ma, ripeto, più per guardare al futuro che per frugare nel passato.
E allora “io ricordo” la grande vitalità culturale che permeava noi giovani degli anni sessanta e settanta, quando sentivamo urgere in noi il desiderio di farci “faber” del nostro avvenire, di quello di tutti, non di ogni singolo. Ed essa ci divideva in gruppi, di idee diverse, di prospettive diverse, di dedizione diversa, ma tutti decisi a confrontarle, a far prevalere le proprie, come è normale che sia in chi ha convinzioni, modificabili quanto volete, ma pur sempre frutto di un personale percorso intellettivo. Non mancavano le occasioni in cui un confronto, per le naturali intemperanze dei vent'anni, si trasformasse sovente in scontro, ma era bello e costruttivo anche quello.
Costruttivo perché, oltre che affinare comunque gli animi e le appartenenze, spingeva ad industriarsi nella ricerca, oltre che delle idee, anche dei mezzi per accrescere il consenso o la simpatia attorno ad esse…e si voleva cambiare il mondo, come i quattro amici al bar.
Poi venne il “sessantotto” e la rivolta giovanile, quando gli studenti scendevano in piazza per combattere “i baroni” delle Università, non per difenderli, come fanno ora.
Così il dibattito si accresceva giorno per giorno, e ad un articolo pubblicato in una bacheca (avere un giornale era pura utopia!) si rispondeva con un tazebao dai mille colori, come allora andavano di moda.
Io credo che nessuno di noi, in cuor suo, credesse realmente nel buon esito delle proprie iniziative, ma servivano a sentirsi vivi e, qualche volta, protagonisti: io credo che tutti noi sapevamo che un giorno le nostre illusioni si sarebbero spente nella routine e nella quotidianità di persone ormai impegnate nel lavoro, ma ci piaceva coltivarle nella speranza di una maggiore condivisione.
Erano i tempi dei partiti politici, della grande influenza della chiesa nella vita di tutti, delle idee di maggiore coscienza di sé, che si andavano insinuando nei singoli e nei gruppi.
Poi, quando qualche cambiamento finalmente si affermò, alcuni gruppi di giovani volsero i loro interessi a costruire praticamente validità sociali: e diversi ci riuscirono.
Erano realtà che venivano da lontano, non improvvisate, con una loro ideologica motivazione, nata da cento pensieri e mille ripensamenti!
Poi l'oblio: i tempi cambiarono improvvisamente. I giovani preferirono vegetare “in piazzetta”, con le ragazzine sempre più disponibili, e magari con qualche trasgressione prima neanche immaginabile.
La storia va avanti così: inutile tormentarsi l'animo.
Quello che oggi, all'oscuro di quanto avverrà domani, ci preoccupa è che, pur nella molteplicità degli aspetti e delle motivazioni degli accadimenti storici, manca la preparazione di base, manca il piacere di imparare, di avere idee, di confrontarle con altre, di perfezionarle, di lottare perché si affermino, di trovare un “leit motif” ad uno stile di vita sociale, ad un desiderio un po' più nobile di quello di ritrovarsi attorno ad una porchetta o ad una birra, nelle rispettive “sagre” dell'una o dell'altra.
Estrema ratio ci andrebbe bene anche una sagra, ma datele una motivazione; una banalissima motivazione che serva ad aggregarvi prima e a costruire poi. Non ci si può limitare a cuocere bene la porchetta o a servire bene la birra, occorre molto molto altro. Altrimenti basterà che qualcun altro organizzi la sagra del polpettone, perché la porchetta e la birra scompaiano senza aver lasciato assolutamente niente.
Consentitemi questo parlar per paradossi, ma il “Presepe Vivente” o la “Festa dell'Unità” erano la conclusione di un percorso e la premessa per un nuovo discorso!
Oggi non è più così, lo sappiamo; ma per carità. cari giovani contemporanei, la colpa non è vostra: i tempi sono cambiati, e le cose non è più necessario che ve le conquistiate. Le avete a portata di mano.
La colpa è di chi favorisce questo vostro ideale distacco dalle cose della mente, per pensare alle cose del corpo.
E se pure qualche associazione dà segno di voler dire qualcosa, alla fin fine dice cose dette e ridette per anni da tanti. Ma non potrebbe fare diversamente perché non ce n'è alcuna altra a contraddirla.
Così come questo mio scritto, che provocatoriamente vorrei tanto fosse smentito o attaccato, resterà lettera morta, e non servirà di occasione al confronto, né nei giovani né in quelli meno giovani.
Ma saranno i primi a soffrirne sempre di più.
Gli americani eleggono Presidente degli Stati Uniti un giovane, Obama, di 47 anni; noi eleggiamo Presidente della Commissione di Vigilanza della Rai Sergio Zavoli, di 85 anni: esattamente il doppio degli anni, più un altro anno!
Spaventosa gerontocrazia che vuol dire molte cose.
Ma soprattutto il fatto che i giovani, spesso e volentieri, ed anche per quanto abbiamo appena esposto, non sono all'altezza.
E la esibizione televisiva di qualcuna di loro, pur con grandi responsabilità, ce ne ha dato vistosa conferma.

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno V 2008 - n. 12 Dicembre)