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OBAMA... mettiamo da parte ogni spocchia

 

Dal venti di gennaio gli americani hanno il loro nuovo Presidente.
Eletto, caschi il mondo, sempre il 4 di novembre, entra in carica poco più di due mesi dopo, sempre il 20 di gennaio.
Qualche confronto con il nostro sistema, ma soprattutto con la nostra mentalità, non guasta.
È vero che da noi il Presidente ha ben altro significato, ma lo si elegge, a scadenza dei sette anni di mandato, solo quando si sono messi d'accordo i circa ottocento tra deputati, senatori e rappresentanti delle regioni, destinati a farlo.
Elezione diretta negli Stati Uniti, indiretta in Italia.
Ci andrebbe anche bene, perché per certi versi l'elezione del presidente è in qualche modo indiretta anche in America; ma da noi chi l'ha mai vista la persona che ci propongono alla guida della nazione? Anzi, con il sistema elettorale attualmente in vigore, chi ha mai visto in faccia neppure quelli destinati ad eleggerlo, e che abbiamo in qualche modo eletto noi?
Succede allora che all'insediamento di Obama vanno milioni (milioni veri) di persone, e da noi molti neppure sanno qual è il nome di chi siede al Quirinale. A proposito, avete visto che distesa di spazio ci vuole per accogliere i milioni di esseri umani? E vi è sembrata compatibile con l'area del circo Massimo o di Piazza S. Giovanni, dove i nostri politici e sindacalisti millantano il merito di adunare pari milioni di gente?
I conteggi non erano ancora definitivi quando il candidato repubblicano, resosi conto della sconfitta, ha telefonato al vincitore congratulandosi e mettendo disposizione sua (e della nazione) il proprio bagaglio di esperienza e di idee. Da noi due mesi dopo che Berlusconi aveva vinto con largo margine le elezioni, Veltroni organizzò una raccolta di firme per cacciarlo dalla guida del paese legittimamente acquisita. Secondo voi chi è “veramente” democratico (nel senso di rispettare la volontà del corpo elettorale) lo sconfitto repubblicano americano o lo sconfitto democratico italiano?
Va anche detto che il Presidente Obama ed il suo staff, il giorno del giuramento, in ossequio agli sconfitti, indossavano una cravatta di colore rosso, loro simbolo, mentre questi ultimi di colore azzurro, simbolo dei vincitori: piccolezze, certo, ma la dicono lunga sul rispetto umano e democratico.
Il fatto che Obama abbia giurato sulla medesima Bibbia sulla quale aveva giurato Abramo Lincoln sta infine a significare il profondo attaccamento di quella gente per la loro pur breve storia, e per la loro gloriosa tradizione.
Se infine pensiamo che gli Stati Uniti d'America nascono da un coacervo di razze, di religioni, di nazionalità, di etnie, di appartenenze sociali, si palesa ancor più la differenza con chi, come noi, si vanta di essere discendente dei Romani e dei Greci, fondatori del diritto, della democrazia, della cultura e del progresso di tutto l'occidente.
A questo punto il colore della pelle del nuovo Presidente Usa diventa l'ultimissima considerazione da tener presente nelle differenze tra noi e loro.
Mettiamo da parte ogni spocchia e consideriamo con la massima serietà quanto già andava scrivendo Tocqueville, nella prima metà del 1800, a proposito della Nazione Americana.
Non potremmo far altro che migliorare.

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno VI 2009 - n. 2 Febbraio)