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Pensando alle elezioni

 

Gli ultimi vent'anni hanno visto una inesorabile trasformazione della possibilità e della capacità dei cittadini di scegliere e di decidere la loro guida politica: essa si è andata sempre più accentuando negli ultimi anni, tanto da sostituire, di fatto, ad una più o meno illuminata scelta dell'elettore, la imposizione di scelte già effettuate dall'alto. Ne è risultato un distacco enorme tra eletto ed elettore, tanto che questi spesso neanche conosce il rappresentante del proprio territorio, mentre l'altro ignora completamente le necessità e le potenzialità della sua base elettorale.
Questo fatto, più evidente a livello nazionale con le vigenti leggi elettorali, ma non meno presente a livello locale, favorisce costantemente un disinteresse ed una disaffezione sociale che si rivelano ogni giorno più deleteri per tutta la comunità.
La cosa, per certi versi, potrebbe anche avere un razionale logico, pensando che oggi la politica non è più scontro ideologico su contrastanti visioni di impostazione di vita nazionale (socialismo o liberalismo, comunismo o fascismo, ecc.) ma si è ridotta a mera attività amministrativa, dove le priorità sono rappresentate dalla quadratura dei bilanci, dalla distribuzione del lavoro, dal PIL e via discorrendo: priorità che derivano, bisogna riconoscerlo, da una interconnessione globale tra gli Stati quale non era mai esistita. Allora, però, la diversità tra concorrenti politici, e la speranza di prevalere dell'uno sull'altro, dovrebbe essere legata al ricorso umano a competenze sempre più approfondite, a capacità sempre più grandi, a visioni sociali sempre più larghe. E vi pare che questo avvenga? Vi pare che le liste di candidati che ci vengono proposte abbondino di esperti amministratori, di dirigenti d'azienda, di studiosi del diritto amministrativo, o che i criteri di scelta restino quelli di sempre: fedeltà al capo, vastità della clientela personale, alto profilo di faccendiere?
In buona sostanza le possibilità di scelta da parte dell'elettore sono state azzerate, ma sono rimaste in vita tutte le qualità negative o positive del candidato che avrebbero dovuto influenzare tale scelta; il candidato non è più giudicato dall'elettore, ma dagli organizzatori del suo partito, in base a parametri che passano sulla testa dei cittadini e che sono sovente molto diversi dai loro.
Una volta ogni eletto aveva sul territorio una sua segreteria, che captava le aspettative degli elettori, ne sondava gli umori, ne apprendeva le necessità, ne faceva proprie le indicazioni, ne curava, sia lode a Dio, anche gli interessi. Ma oggi qualcuno di voi conosce il rappresentante del nostro territorio, gli ha mai parlato, e questi ha mai incontrato la sua gente, ne ha mai ascoltato i bisogni?
Una cosa è certa, e la ribadiamo: tutta la attività politica, nazionale o locale, è divenuta attività amministrativa; a ben guardare anche quella estera, che pure risponde ad altre logiche. E allora ci pare naturale che ci si debba confrontare su temi pratici, di respiro più o meno ampio, ma di prospettive per forza di cose contenute.
Gli investimenti, la sistemazione ambientale, la creazione di posti di lavoro, la ricerca di energia, e, restringendo il campo a situazioni locali, la strada, la piazza, l'assetto urbano, la raccolta dei rifiuti.
Son partito da lontano, non lo nego, ma a questo punto la considerazione è una sola: nel proporre liste elettorali, specie a livello locale, ci si sganci da ogni copertura di appartenenza a pseudo - partiti e si proceda solo col criterio di competenza professionale o di dimostrata capacità settoriale, dirigenziale od operativa che sia. E l'elettore scelga in base a questi requisiti la lista che ne presenta un numero maggiore o migliore.
Ne deriverebbe innanzitutto che, quando ad affastellare non è un interesse di parte, ma la volontà di perseguire un interesse generale, a risultato elettorale concluso, riuscirebbe più facile cercare e, soprattutto, trovare disponibilità collaborative nella controparte perdente.
Solo la realizzazione di qualcosa oggettivamente utile per tutti, senza secondi fini, può suscitare la più ampia collaborazione: i problemi da risolvere, mi spiego meglio, sono sotto gli occhi di tutti, maggioranza ed opposizione, ma solo se nessuna delle due ha interessi di parte possono mettersi insieme per risolverli. La necessità della costruzione di una strada, ad esempio, è sicuramente cosa obiettiva per tutti: il realizzarla deve riguardare e premiare tutte le parti amministrative, a parte ogni legittima e naturale divergenza sulle modalità di attuazione.
Ma oggi, proprio in virtù della mancanza di contrapposizioni ideologiche, gli scontri politici sono basati sulla mera e sfrontata condotta di dire semplicemente il contrario di qualunque cosa sostenga l'altro.
Lo vediamo costantemente nelle dichiarazioni dei leader nazionali, e la cosa non è per niente costruttiva.
Quando ancora ci si accapiglia, come avviene nel Consiglio comunale della nostra città, per la elezione del presidente o del vice-presidente, o per la nomina degli scrutatori, o per la difesa non di un ideale di comportamento, ma per un banale e infimo interesse di parte, allora non si andrà mai avanti.
Costa davvero tanto, alla maggioranza, evitare operazioni di piccolo e non pagante cabotaggio e aprirsi al contributo fattivo di altri punti di vista; e costa davvero tanto, alla opposizione, non chiudersi a riccio su specifiche ripetitive questioni?
Conoscendo la natura umana potrà sembrare ragionamento di pura fantasia, ma i cambiamenti avvengono inesorabilmente, spesso al di sopra delle volontà individuali: sapersene accorgere per tempo, avvertirli prima degli altri, riconoscerne la portata e la direzione, può avvantaggiare chiunque sappia farlo.
Perché non cominciamo a pensarci seriamente?

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno VIII 2011 - n. 6 Giugno)