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Tra olimpiadi e paraolimpiadi...

 
la miopia non paga
 

È ormai ufficiale: Roma non sarà candidata per le Olimpiadi del 2024.
Lo ha deciso, ispirata dal guru Beppe Grillo, la Sindaca Raggi eletta dal M5S qualche mese fa.
Potrebbe essere una scelta anche rispettabile se, a far sorgere notevoli dubbi sulla sua chiarezza d'intenti e di prospettive, non esistessero obbiettive considerazioni che ne minano la credibilità e la possibile efficacia.
In primo il modo, degno più di un presidente di condominio di infima classe, che di un sindaco della Capitale d'Italia; quanta differenza di stile e di personalità con il sindaco di New York o di Parigi, ad esempio, che per rappresentatività non sono da meno al Presidente del Consiglio, e che si comportano con la dignità che il loro ruolo richiede, certamente non facendo fare anticamera al presidente di una istituzione ufficiale ed internazionale da loro stessi invitato.
Poi la imposizione di una scelta non democraticamente discussa, ma attuata sol perché il Guru aveva detto di no un anno prima delle elezioni; il tutto attuato da un movimento politico che è, ma solo demagogicamente, ricorso più volte allo streaming per ammantare di democrazia scelte fittizie.
Ed infine la sostanza: come sarebbe stata diversa la storia se Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona si fossero rifiutati di finanziare la spedizione di Colombo solo perché i soldi servivano per riparare le buche sul selciato di Plaza Maior; o se Napoleone non avesse iniziato la campagna d'Egitto perché doveva finanziare i lavori di riparazione del Louvre, o se il presidente americano Truman non avesse adottato il Piano Marshall perché i soldi servivano per riattivare i semafori delle strade di Brooklyn?
Certo che se veramente è questo il criterio ispiratore economico del popolo grillino c'è da avere terrore!
Vuol dire che la loro visione economica non va oltre la lista della spesa: oggi compro i pomodori, domani le patate e poi le cipolle, e così mi avanzano dieci euro e posso fare la pastasciutta!
La scelta prioritaria, ha detto la Raggi, sono le buche di Via Nazionale! Lo ha detto il Sindaco di Roma, mica micio micio baubau!
Ricordo sempre una storiella raccontata da Luigi Einaudi, grande economista e presidente della Repubblica Italiana: il presidente riferisce al consiglio di amministrazione di una importante società “abbiamo cento milioni di passivo!” ed un anziano membro del consiglio di rincalzo “cominciamo a spendere quelli!”.
Non credo che il vecchietto fosse distante dalle teorie keynesiane più di quanto non lo siano Grillo ed i suoi accoliti!
Ma tant'è!
Tra qualche mese ci aspetta un importante referendum: il primo che ci consente di approvare un cambiamento costituzionale, l'unico dopo sessant'anni e passa dalla esistenza della nostra Costituzione. L'unico redatto dopo infiniti tentativi di riforma risalenti ad oltre trent'anni fa, per cercare di attuare i quali abbiamo creato parolaie commissioni e persino una “bicamerale” poi svanite senza concludere alcunché.
Importante e diverso dagli altri: primo perché il suo oggetto è sostanziale ad un ammodernamento della nostra macchina legislativa, nata, non lo dimentichiamo, in tempi di paura per quanto avevamo sofferto durante una dittatura sorta pur nel rispetto dello Statuto Albertino, e figlia di un compromesso tra due visioni politiche nettamente contrastanti, in un paese dove la presenza della Chiesa non era insignificante. Il tutto dopo una guerra devastante fisicamente e moralmente tutto il nostro popolo.
Ora i tempi son cambiati e gli adeguamenti vanno fatti; possono non essere il meglio, ma proviamo a farne qualcuno. Il ristagno a volte è peggio di una azione sia pur non ottimale.
Il comico Caiazza, a proposito dell'ultimo referendum sulle trivelle petrolifere che non ebbe validità perché non fu raggiunto il necessario quorum, disse che tra il “no” e il “sì” aveva vinto il “chi se ne fotte”.
Quello che si terrà tra qualche mese non avrà paletti di quorum, ma è importante perché, dopo quello tra monarchia e repubblica, è il primo che ci viene proposto per approvare o respingere una proposta istituzionale e non solo per abrogare una legge. E nasce dalle istituzioni e non da un comitato politico.
Non è una scelta a favore o contro il Presidente del Consiglio (il quale peraltro ha commesso la enorme ingenuità di personalizzarlo); è una scelta di cambiamento di una parte delle istituzioni costitutive.
Dovremmo avere il coraggio di imparare a cambiare.

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XIII 2016 - n. 9 Settembre)