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Indice Claudio Gliottone
 
 

Quasi la lettera semiseria di Giovanni Crisostomo

 
ovvero miscellanea pseudo filosofica senza pretese
 

Giovambattista Vico, nel considerare il cammino della intera umanità, lo paragona a quello degli uomini che “prima sentono senza avvertire, dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso e finalmente riflettono con animo dispiegato e sereno”.
Salta evidente alla mente che, mentre l'uomo termina la sua esistenza con l'ultima tappa del “riflettere con animo dispiegato e sereno” questo non accade per l'umanità, per la quale non esistono limiti di tempo entro cui racchiudere precise fasi di sviluppo; e risulta allora difficile comprendere se essa avesse raggiunto questo ultimo stadio già ai tempi di Vico (1668-1774) o se quest'ultimo è ancora in divenire. Fatto sta che, se veramente l'umanità avesse raggiunto la “terza età” non si spiegherebbero avvenimenti che sono l'esatta antitesi di ogni ragione; il nazismo, il razzismo, catastrofiche guerre mondiali o tra varie popolazione, lotte di religione, genocidi, sfruttamento di popoli su altri popoli e chi più ne ha ne metta. Oppure si potrebbe pensare che il terzo stadio si dipani per un tempo lunghissimo, del quale non si ha possibilità di determinazione, tendente ad una non ancora raggiunta fase della “riflessione con animo dispiegato e sereno”.
La limitatezza della vita umana è invece garanzia del raggiungimento del terzo stadio almeno dalla gran parte dei singoli individui. E' allora chiaro che, essendo l'umanità la somma di un insieme di infiniti individui sempre rigenerantesi, il processo di arrivare ad un ben definito punto di “saggezza” di ragionamento non potrà mai dirsi concluso, e quindi il timore è che si continui a vivere nella fase sociale dell' ”avvertire con animo perturbato e commosso”  senza poter passare, data la sua indefinita illimitatezza, alla fase successiva.
Non così per i singoli individui, peri quali riterrei quasi fisiologico il passaggio delle tre fasi, con una postilla meravigliosa: nell'attraversare i tre momenti di vita, ogni uomo acquisisce esperienze, matura sentimenti, affina qualità di pensiero e di convivenza che vanno ben oltre una singola vita vissuta in solitudine. Da ogni uomo nasce cioè quello che, come Marx lo chiamava riferendosi a tematiche prettamente economiche, definirei “plus valore” sociale. Nasce un quid che si sviluppa per il solo fatto che l'uomo rappresenta un animale sociale, e aumenta col passare degli anni, e direi si trasmette all'umanità intera, in maniera il più delle volte inconsapevole, da parte di ogni individuo.
Non solo i grandi pensatori, filosofi, scienziati, artisti, poeti, pittori, musicisti, che di per sé mostrano doti superiori alla media, ma ogni uomo, anche il più modesto, racchiude un germe che si è sviluppato in lui dalla nascita fino alla morte, attraverso le sue esperienze, i suoi ragionamenti, le sue speranze, le sue illusioni e delusioni, le sue capacità di sentire e di elaborare pensieri. Un “plus valore” che si trasmette all'umanità in maniera quasi automatica perché ognuno sarebbe diverso in un contesto di vita diverso, senza quei contatti, quelle occasioni, quelle esperienze vissute.
Ma quanto esso sarebbe maggiore se ognuno avesse la volontà, non necessariamente la capacità, di fissare in qualche modo quel “plus valore” in maniera da renderlo più visibile e percepibile da parte di quante più persone. Quanto sarebbe maggiore se ognuno di noi, e questo è un invito a farlo, decidesse di scrivere o di esternare nel modo accessibile a quanti più, questo suo contributo all'umanità; proprio come un tempo facevano gli anziani con i nipoti, magari attorno al caminetto.
Il facile accesso a media di grande diffusione potrebbe favorire il progetto e combattere la vacuità di amicizie online o del gusto inconcludente dell' “esserci per esserci”; non il contraddittorio pubblico, ma la esposizione intimistica di quanto dalla vita abbiamo appreso e trasformato con il nostro semplice esistere, nel bene e nel male.
Seicento professori hanno denunciato per iscritto la incompetenza linguistica di tanti studenti italiani: roba da brivido. Il linguaggio resta il più grande motivo affasciante; la lingua è l'essenza e il riassunto di tutta la storia di un popolo. Goffredo Herder, filosofo tedesco della fine del settecento, allievo di Kant, impostò gran parte della sua speculazione di pensiero proprio sulla necessità di difesa della lingua nazionale, perché la lingua è come una pianta che cresce e si sviluppa secondo il clima e la terra, e dalla terra trae le sostanze nutritive, e rappresenta l'essenza della storia di una nazione. Può modificarsi, ammodernarsi, espandersi o contrarsi, ma resta sempre identificativa di una tradizione e di un modo di vivere che parte a lontano e si sviluppa nel tempo.
Non conoscerla, trascurarla, seguire improbabili mode deturpando parole e significati, facendo passare per straniere parole della nostra tradizione o per italiane parole di altre lingue, significa far torto alla propria storia. Per non dire del linguaggio cibernetico, fitto di crasi e di ricerche figurative, di neologismi e di improbabili costrutti che affastellano gli sms, i tag, i blog, le chat, gli mms.
La ignoranza è un virus pericoloso. Non esistono vaccini, specie oggi che abbiamo distrutto la scuola, dove tutto conta, dalle attività ludiche ai “crediti”, ma dove non regna la suprema capacità di parlare un linguaggio chiaro e comprensibile, quello che si è sviluppato nei secoli dalla carta di Capua e di Teano all'ermetismo di Saba, passando attraverso Dante Alighieri, e Alessandro Manzoni, e Giosuè Carducci, e Gabriele D'Annunzio: e che ci appartiene perché, come la pianta di Herder, si  è nutrita della nostra storia, suggendo linfa vitale dalla nostra cultura.
E scusate se è poco!

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XIV 2017 - n. 2 Febbraio)