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Un Libro che tutti i politici dovrebbero leggere

 
… anche gli aspiranti Sindaco di Teano
 

A leggerlo e a pronunciarlo il termine Weltansschauung fa quasi paura; evoca terribili cadenze di discorsi folli e spropositati ascoltati al Berlin Stadium da migliaia di tedeschi e pronunciati da quella incarnazione del male che fu Adolf Hitler. E invece no; appartiene alla parte buona della cultura tedesca, di quella che ha dominato nel campo del pensiero, con Kant, Hegel, Fichthe, lo stesso Marx. Ma non meno che in quello del sentimento (Goethe, Beethoven) o della scienza (Einstein), ma solo per citare qualche esempio.
Una cultura classica di un popolo del nord europa non completamente privo di una visione etica mediterranea.
“…un cantico tedesco lento lento/ per l'aer sacro a Dio mosse le penne/ era preghiera e mi parea lamento/ d'un suono grave, flebile solenne/ tal che sempre nell'anima lo sento” scriveva in “Sant'Ambrogio” Giuseppe Giusti nel 1846, stupendosi “…che in quelle cotenne/ in quei fantocci esotici di legno/ potesse l'armonia fino a quel segno“.
Orbene il termine, usato per la prima volta da Immanuel Kant nella sua “Critica del Giudizio”, non significa altro che “visione del mondo” che ogni uomo possiede per intuizione o alla quale arriva prima o poi in uno stadio della sua conoscenza.
All'argomento ha dato ampio sviluppo lo psichiatra di fama mondiale Vittorino Andreoli, ai più noto per diverse frequentazioni televisive, nel libro, edito nel dicembre 2016, dal titolo “La gioia di vivere. A piccoli passi verso la saggezza”. Chiaro e concettualmente molto comprensibile, ne consiglio la lettura; e qui, nel mio giudizio, travalico ogni limite ontologico o trascendente ed approdo a porti esclusivamente sociali: lo consiglio semplicemente perché il raggiungimento della mia saggezza, attraverso la mia “gioia di vivere” non può che giovare anche al mio prossimo e se tutti fossimo un po' più “saggi” di certo ne guadagnerebbe la intera umanità.
Partendo dai diversi atteggiamenti delle persone nella loro “visione del mondo”, Andreoli distingue la esistenza di due weltansschauung e le definisce una la “fatigue de vivre”, rifacendosi a Schopenauer, e una la “joie de vivre”, dall'omonimo romanzo di Emile Zola.
“Nella fatigue de vivre l'io non solo è ben identificato, esiste cioè come auto-percezione, ma è anche dominatore e protagonista, e si impone per emergere, evitando dapprima di essere confuso con il mondo, per poi dominarlo. La scena presuppone non solo che ci sia un protagonista, ma anche che egli domini in qualunque modo.
Nella joie de vivre la dimensione dell'io si ferma alla identità, cioè alla individuazione di sé rispetto al resto, ma la sua tendenza è quella di legarsi agli altri per essere protagonisti insieme. In questo caso sulla scena domina il “noi” e tutti sono primi attori. Il singolo non mira a dominare, ma favorisce la concertazione, l'insieme.”
Così, assecondando l'atteggiamento che l'io assume di fronte a queste due “visioni del mondo”, l'autore analizza una serie infinita di condizioni materiali e psichiche che, a seconda che si rifacciano all'una o all'altra, coinvolgono in modo analogo la vita sua e del suo prossimo. La vita, intesa come competizione da un singolo, porta inevitabilmente allo stesso intendimento in un'altra persona e ne crea un nemico; intesa invece come collaborazione, come concertazione, genera negli altri analogo sentimento d'intesa.
“…nella gioia di vivere l'altro non è un nemico da battere, ma un oggetto che ti aiuta a vivere, che ti dà sicurezza per il semplice fatto di esserci, più che essere ……. l'eroe, invece deve nascondere gran parte dell'io, mettere in risalto le virtù combattive, fingere mentire…..e così diventa un falso se….finisce per non amarsi più, per non avere stima dei sé, perché si accorge di mostrarsi per quello che non è”.
Abbracciando la gioia di vivere si apprezzano cose impensabili per chi invece è dominato dalla fatica di vivere; la prima produce schiettezza e serenità, la seconda ipocrisia e travaglio interiore, la prima fa godere di tutte le cose esistenti al mondo, la seconda non fa godere neppure del potere raggiunto, perché nasce la necessità di difenderlo e di accrescerlo.
Meditate, genti! Meditate.

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XV 2018 - n. 2 Febbraio)