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Il giuoco delle parti...

 
ovvero delle scelte non formulate
 

Ben diverso da quanto esporrò è il contenuto della omonina tragi-commedia scritta esattamente un secolo fa (nel 1918) da Luigi Pirandello; un giuoco in cui i personaggi, una moglie infedele, il marito tradito, l'amante, ed una schiera di amici, recitano fino in fondo una parte che poco deriva dalle loro volontà e che porterà ad un finale logicamente non voluto, nel quale muore l'amante al posto del marito che la moglie infedele voleva eliminare.
È il pensiero di Pirandello, che si riproporrà in molte altre sue opere.
Ma è anche quanto sovente accade a chi è costretto a recitare ruoli che non gli sono consoni, solo perché stratificate consuetudini gli impongono di essere uno e nessuno contemporaneamente.
Così succede nei risultati elettorali laddove, per stratificata consuetudine, chi non è eletto “in maggioranza” debba andare a svolgere una “opposizione” ad essa; e fin qui non ci piove.
Quello che non quadra è che debba farlo per “mandato elettorale”!
Nulla di più falso! E vi spiego il perché.
L'elettore, qualunque sia la sua espressione di voto, designa un candidato e gli dà il suo sostegno esclusivamente perché vinca e vada a far parte di una maggioranza: nessuno esprime il proprio voto per un candidato perché vada in minoranza e, men che mai perché vada a fare “opposizione” ai vincitori della sfida elettorale.
Il risultato di una votazione si concretizza comunque in una parte che ottiene più consensi, e diventa “maggioranza” ed in una parte che ottiene meno consensi, che diviene “minoranza”, perché è democraticamente previsto che così sia.
Va da sé, a voler estremizzare il concetto, che, mentre una parte diventa “maggioranza” , questa sì per “mandato elettorale”, perché un numero più grande di elettori ne ha condiviso i programmi, l'altra diventa “minoranza” per “voto non apposto”: cioè i voti che essa ha raccolto erano di altrettali persone che ne condividevano i programmi e che certamente volevano che vincesse. Quindi il “mandato elettorale” perché quella parte risultasse in minoranza e non vincesse, assolutamente non esiste; non può esistere nella mente dell'elettore la scelta di “esprimere una minoranza”.
In conclusione tanto il vincente che il perdente sono moralmente legati ad un mandato che li costringe a fare esclusivamente quanto hanno promesso agli elettori, ma non è detto che le due cose siano talmente contrastanti da costringere il secondo “a fare opposizione”; ma soprattutto perché tale indicazione non gli è stata in nessun modo affidata dall'elettore.
Il concetto di “fare opposizione” reca in sé un alcunché di negatività preconcettuale che mal si sposa con le finalità di una scelta elettorale effettuata su qualsivoglia proposta.
La minoranza ha invece il compito di vagliare ogni singola proposta della maggioranza e di approvarla se consona a quelle da lei minoranza espresse, o di “opporvisi” se contraria, non rinunciando a nessuna arma di quelle democraticamente concesse per debellarla.
Nei fatti le cose non cambiano, ce ne rendiamo conto.
Ma quel che è necessario chiarire è che non esiste un “mandato elettorale” per fare opposizione “a prescindere”, direbbe Totò!
Mi dispiacerebbe non essere stato chiaro, ma mi piace pensare di aver aperto gli occhi a quanti si adattano senza accorgersene al “giuoco delle parti”!

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XV 2018 - n. 6 Giugno)