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Teano: una "Universitas Civium" del '600 (I parte)

(I parte)
 
Estratto da: Civiltà Aurunca, n. 29, anno XI, Arti Grafiche Caramanica, Marina di Minturno (LT). Si pubblica per gentile concessione dell’autore.
 

La scelta di abbandonare la centralità ottocentesca dello «Stato- nazionale» come soggetto privilegiato e quasi unico di storia, ha rappresentato una vera e propria «rivoluzione copernicana» nella pratica storica.
Con essa, di fatto, l’immenso mondo pietrificato di ciò che appare silenzioso ed inerte, perché non partecipa alla vita attiva dello stato, perché subisce anziché plasmare il corso delle cose e della natura, viene di colpo immesso nella materia storica.
È così che, forse per un puro caso, sono venuti alla luce i documenti che ci accingiamo a pubblicare, vale a dire i bilanci della città di Tiano per gli anni 1611 - 1612 - 1613 - 1614 (1).
Quelle aride cifre, riportate con scrupolosa esattezza offrono uno spaccato della società e dell'economia di una piccola città del viceregno nel Seicento, anch'essa simbolo della stridente contraddizione che sembra caratterizzare il dominio spagnolo durante i secoli XVI e XVII.
In questo periodo, da un lato la feudalità perde la capacità di influire sul destino politico del paese e, dall'altro invece, estende progressivamente i suoi poteri come classe di grandi proprietari terrieri dotati di cospicui privilegi giurisdizionali ed economici.
È un quadro questo che può aiutarci a comprendere, risalendo nel tempo, la forza dell’ «azione signorile» e quindi la possibilità per la Corona di sottoporre al controllo baronale un numero crescente di Città e di grossi centri in modo tale da avere «una classe uniforme di vasalli soggetti (...) alla giustizia signorile, ai monopoli, alle restrizioni cui erano sottoposte le vendite dei prodotti dei campi, ma anche, almeno in certe località, alla prestazione di servizi agricoli, e ai limiti posti illegalmente alla libertà di movimento, di specializzazione artigianale» (2).
Che poi la monarchia, grazie alla possibilità di utilizzare forze militari, sia riuscita ad esercitare un controllo sulla nobiltà, ciò non esclude che è mancata la «realizzazione di grandi energie» ossia «un rivolgimento in senso borghese dell'eonominia e della società» (3).
Le ambizioni politiche, spesso eversive dei baroni, che erano sfociate nelle congiure del 1461 e del 1485, furono debellate ricorrendo a dure repressioni ovvero alla devoluzione di feudi alla corona.
Ciononostante, il prepotere dei grandi feudatari nella vita civile e nella società si rafforza proprio nel corso del Quattrocento, tanto da costringere «il potere monarchico a cedere alle richieste della nobiltà e di abbandonare con la formazione di un apparato statale centralizzato a livello amministrativo, fiscale e militare (...) il suo ruolo di regolatore di un sistema di redistribuzione continua della proprietà» (4).
A tale proposito il Villani ha messo in risalto «il sostanziale cedimento dello stato all'offensiva feudale nella prima metà del secolo XVII» (5), mentre il sistema dei lignaggi, studiato dal Delille, ha posto in evidenza il prepotere crescente del grande lignaggio capace di acquisire sempre nuovi privilegi.
Si può sostanzialmente affermare che «lo stato del Sei e del primo Settecento non è più nel Mezzogiorno un fattore di dinamismo» e per quel che concerne le campagne, non solo è completamente assente ogni tipo di sviluppo ma anzi «la produzione granaria in generale e le rese in particolare, non registrano una crescita continua» (6).
La crisi colpisce in maniera accentuata la piccola proprietà contadina che, a differenza di quella grande, che ha superato le difficoltà della rendita feudale, verificatasi nella seconda metà del XVII secolo, si trova impigliata nella morza dell’ «aleatorio problema del raggiungimento del minimo vitale» (7), dal quale non riesce in alcun modo a sottrarsi.
Si verifica, tuttavia, un allentamento del vincolo feudo-baronale a causa dei frequenti passaggi di proprietà che comportano una crescente spersonalizzazione del feudo.
La commercializzazione, produce un indebolimento dei legami giuridici e sociali che hanno avvinto, nei secoli, la società meridionale.
Ciò avviene, soprattutto, nelle campagne dove alla figura del feudatario che risiede nel feudo, di cui gode il possesso per diritto di nascita, si sostituisce quella del nuovo proprietario, spesso di recente nobiltà, che risiede nella capitale governando il feudo attraverso agenti o concedendolo in fitto.
Tuttavia, il nuovo ceto dominante rimane limitato nel potere dalla vecchia nobiltà feudale alla quale viene, non a contrapporsi, ma ad affiancarsi.
Il risultato è che la nobiltà si vede rafforzata e rinnovata e pronta a meglio resistere agli attacchi popolari che troveranno, nel 1647 / 48, il loro turning point e la loro sconfitta annunciata.
Alla base del sistema politico-sociale creato nel viceregno si trova la comunità, l’ «universitas civium», la cui importanza varia in considerazione del fatto che essa sia costituita da grossi ed antichi centri urbani, con i loro privilegi, o da piccole terre soggette all’ «utile dominio» dei feudatari.
Il tentativo più organico, prodotto dal governo spagnolo per il risanamento della contabilità dello stato napoletano avviene durante il viceregno di D. Pedro Fernandez di Castro, conte di Lemos (1610-1616).
Questi trova il regno «non più esausto, ma il patrimonio reale e la pubblica annona in debito di più milioni» (8), per cui si applica «a favorire le comunità del regno acciò fossero più pronte a pagare i tributi dovuti al re, a far rivedere i conti così delle regie entrate come delle città» (9).
Questo tentativo, naturalmente, non ebbe successo.
Il problema maggiore era costituito, infatti, dalla partecipazione del regno alla vita politica della Spagna, per cui esso partecipa al «lungo processo della sua decadenza economica (ed alla sua) decomposizione sociale» (10).
Non meno grave, però, è la questione, all'epoca tanto deprecata, dei commissari inviati in provincia. «Le università del regno, che egli (il Lemos) aveva voluto aiutare a darsi un miglior assetto finanziario, si troveranno nel 1625 - 26 sull'orlo di un precipizio dal quale non le avrebbe salvate neppure I'istituzione degli stati discussi, ordinata dal viceré duca d'Alba e realizzate dal Tapia» (11).
Alcune elementari funzioni amministrative spettano al corpo municipale, vale a dire la ripartizione delle imposte e la gestione del patrimonio comunitario.
Sul funzionamento delle università Lepre nel suo Mezzogiorno nell'etoà moderna e contemporanea ritiene ancora valide le pagine del Faraglia di cui riportiamo alcuni passi interessanti: «(...) per antica consuetudine, le città erano governate da due ceti cagioni d'odii e tumulti: le piccole e rurali terricciole non ebbero l'onore di essere agitate da partiti de’ nobili e de’ popolani (...). Non avveniva così nelle città che, essendo rette da due ceti numerari, lasciavano fuori dal governo una classe numerosissima e spesso formata anche di cittadini ricchi ed egregi. I patrizii anzi non soffrivano di buono animo nemmeno il secondo ceto o quello dei popolari crassi, i quali con loro avevano parte al consiglio. (...) Gli uni si poggiavano sui favori che la loro parte facilmente otteneva col nome e col denaro, agli altri procuravano di sopraffarli spesso confidati nel numero, e talvolta si appoggiavano alla classe non ammessa al reggimento, la quale talvolta non mancava né di attività né di iniziativa» (12).
Nel 1546, «volendo l'università di Tiano passare in demanio regio, il gran capitano (Consalvo de Cordova) glie l'accordò con strumenti de' 13 del 1546 col pagamento di duc. 40.000" (13).
L'appartenenza al regio demanio non durò molto.
Infatti, don Pedro da Toledo, marchese di Villafranca e vicerè di Napoli (1532 - 1553), fu costretto, a causa della pesante situazione finanziaria, a venderlo per ducati 50.000 a D. Luigi Carafa della Marra, principe di Stigliano.
Tale vendita, rientra nell'ampio movimento di cessione delle terre demaniali, delle rendite pubbliche e degli uffici con i quali il potere centrale compie l'estremo tentativo di sanare il bilancio statale.
L'indebitamento, come acutamente analizza il Lepre, «è dovuto soprattutto ai donativi che la corona spagnola richiede al regno di Napoli per le sue necessità belliche» (14).
Ciò produce un vasto movimento speculativo di cui Bartolomeo d'Aquino fu il principale artefice.
Questo personaggio, che domina la vita politica ed economica del viceregno è il «più audace uomo d'affari che ebbe la storia del Mezzogiorno» (15), «d’animo grande e più che da mercante, benché di livido e sparuto aspetto e conveniente a’ suoi natali; liberalizzino di moneta e negli arredi ed abbigliamenti di casa (...) Era, oltre a ciò, avveduto nei traffici, di pronto e sagace ingegno, ed oltremodo favoreggiato dalla formula. Ma era all'incontro pieno di sozzi e biasimevoli difetti, di laida vita (...) e macchiato di altre obbrobriose cattività, le quali per la sua potenza senza timore alcuno pubblicamente esercitava, avendo notabilmente arricchito don Francesco Lopez e Gennaro Galluccio (...)» (16).
(fine I parte)

NOTE
(1) Archivio di Stato di Napoli - Fondo Dipendenze della Sommaria 1a Serie fs 535/5 - Bilanci redatti da Silvestro de Gilio erario e camerario della Città di Tiano riferiti agli anni 1611 (da settembre) 1612 - 1613 - 1614 (fino a marzo).
(2) Ph. Jones, La società agraria meridionale all’apice del suo sviluppo, in Storia economica Cambridge, vol. I, Torino, p. 477.
(3) G. Galasso, Le forme del potere, classi e gerarchie sociali, in «Storia d’Italia», Torino, 1974, vol. I, p. 478.
(4) G. Delille, Famiglia e proprietà nel Regno di Napoli XV-XIX secolo, Torino, 1988, p. 54.
(5) R. Villari, Ribelli e riformatori dal XVI al ,XVII secolo, Roma, 1979, p. 62.
(6) R. Villari, ivi, p. 62 - 63.
(7) R. Romano, Napoli dal viceregno al regno. Storia economica, Torino 1974, p. 63.
(8) P. Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli, a cura di Antonio Marongiu, Marzorati ed., 1972, p. 215.
(9) P. Giannone, op. cit., p.275.
(10) G. Galasso, Mezzogiorno medievale e moderno, Torino 1975, p. 213 e segg.
(11) G. Galasso, ivi.
(12) N. F. Faraglia, Il Comune dell'Italia Meridionale. 1100 - 1806, Studio Storico, tip. della Regia Università, edizione anastatica di Forni, Bologna p. 197.
(13) B. Pezzulli, Breve discorso storico detta Città di Tiano Sidicino in provincia di Terra di Lavoro, Raffaele Miranda, 1820, p. 178.
(14) A. Lepre, Il Mezzogiorno nell’Età moderna e contemporanea, Napoli 1974, p. l2l.
(15) R. Villari, La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini (1585 - 1647), Bari, 1967, p. 139.
(16) F. Capecelatro, Annali della Città di Napoli, Napoli 1849 citato in R. Vil- lari, op. cit., p. 139. A proposito di Gennaro Galluccio, «cavaliero napolitano» trattasi certamente di un appartenente alla famiglia nobile teanese dei Galluccio «Gen-tiluomini del seggio del Nido, le cui gesta alcune volte sfociarono nella violenza, come accadde nel 1689, quando, l'11 marzo, i figli di Giulio Galluccio furono arrestati per aver ammazzato, all'Anticaglia, un giovane gentiluomo di Teano (cfr. G. Galasso, Napoli spagnola dopo Masaniello, Firenze, 1982, p. 319).

Costantino Lauro
(da Il Sidicino - Anno XVI 2019 - n. 2 Febbraio)