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Note storiche - artistiche sul culto di santa Caterina
d'Alessandria in Teano
 

Fig. 1 - Teano, Chiesa di S. Caterina
 

Il 25 novembre la Chiesa celebra la festa di santa Caterina d’Alessandria, il cui culto, nel Napoletano e più in generale in quasi tutta la Campania, è legato alle festività natalizie per via di un antico detto popolare che recita: “Comme Catarinea accussì Natalea”, ad indicare, ovviamente senza alcun riscontro scientifico, che “le condizioni meteorologiche del giorno di Natale saranno le stesse del giorno di santa Caterina”.
A Teano il culto per la santa fu probabilmente introdotto dai benedettini già in epoca longobarda. Di certo trovò largo seguito solo a partire dal 1554, con la fondazione, per volere ed iniziativa della principessa di Stigliano, Clarice Orsini, dell’omonimo complesso monastico (fig.1). Sorto ristrutturando un edificio di epoca medievale - impostato a sua volta su strutture di epoca romana - per accogliere un nucleo di monache benedettine giunte da Napoli al seguito della badessa Camilla Carmignano con l’intenzione di ospitare fanciulle povere, il complesso finì, in seguito, con l’ospitare anche le comunità degli altri monasteri benedettini cittadini di Santa Reparata e Santa Maria de Foris, soppressi in ottemperanza ad una prescrizione del Concilio di Trento che disponeva il trasferimento dei monasteri femminili extra urbani all’interno delle mura cittadine per la salvaguardia delle religiose e per le continue razzie dei vari eserciti di conquista che attraversavano l’Italia in quei secoli; viepiù perché potessero esercitare una più efficace azione di proselitismo tra le adolescenti teanesi. Invero il titolo reiterava quello di una chiesa preesistente nello stesso edificio medievale, già intitolata a San Nicola dei Greci e poi intestata alla santa nel 1539, dacché, nei locali annessi, vi era stato trasferito, con il beneplacito delle autorità ecclesiastiche, il locale nosocomio fin lì allocato, in luogo di un precedente xenodochio, presso il convento della congregazione dei Celestini di Santa Maria a Majella alle dipendenze della trecentesca confraternita laicale di Santa Caterina ospitata nell’attigua omonima chiesa, successivamente intitolata alla Madonna delle Grazie dopo il trasferimento del sodalizio. E, come si conviene ad un edificio sacro, alcuni decenni dopo, presumibilmente intorno agli anni ’20 del Seicento, la chiesa del riadattato complesso fu arricchita con un’immagine della santa alla quale era intitolata: in questa evenienza con una tavola raffigurante il suo martirio, concordemente attribuita, anche sulla scorta di un inventario dei primi del Settecento, al pittore napoletano di origini greche Belisario Corenzio; quella stessa che ancora oggi è data ammirare, in tutta la sua bellezza, sul settecentesco altare maggiore dove era stata intanto collocata dopo i massicci interventi di restauro che nella prima metà di quel secolo le avevano conferito l’attuale veste barocca.
Prima di discorrere più compiutamente di questa tavola, però, ci sembra opportuno dettare - ancorché infarcite secondo gli storici più rigorosi da molteplici leggende costruite ad arte - alcune note agiografiche sulla santa, nonché qualche postilla sulla sua iconografia. Vergine e martire, santa Caterina è protettrice degli studenti e, più in generale, patrona della cultura. Si ritiene, infatti, che le più antiche leggende della sua vita, risalenti al IX secolo, abbiano radici nella figura di Ipazia, una filosofa pagana di Alessandria d’Egitto, celebre per la sua sapienza e cultura, uccisa nel 415, per mano di alcuni monaci fanatici. Secondo una di queste leggende, la santa, di stirpe regale, dopo essersi convertita al cristianesimo ed essere resistita alle lusinghe dell’imperatore Massimino, che volendo sedurla cercò di far crollare la sua fede, fu messa a confronto con cinquanta filosofi affinché la convincessero ad abiurare il suo credo. L’impresa non solo fallì, ma contro ogni attesa, i cinquanta sapienti, si convertirono al cristianesimo, sicché furono immediatamente mandati al rogo. Per la santa, Massimino escogitò, invece, uno strumento di tortura costituito da quattro ruote provviste di punte alle quali fu legata per essere stritolata, ma un fulmine lo distrusse per evitare che potesse nuocerle. Secondo un’altra leggenda le lame e gli uncini delle ruote si piegarono sulle tenere carni di Caterina, le ruote s’infransero e la santa non riportò neanche una scalfittura. In ogni caso, Massimino, al colmo dell’ira, la fece decapitare dopo averle fatto recidere i seni. Per questo motivo la santa è generalmente raffigurata con la corona in testa e vestita di abiti regali (per sottolineare la sua origine principesca), in una gloria di angeli e cherubini accanto alla ruota spezzata e una spada, l’arma che le tolse la vita, e con la palma del martirio in una mano. Meno frequentemente la santa è raffigurata anche con il piede destro poggiato su una testa mozzata che, essendo anch’essa coronata, si prefigura come la testa dell’imperatore Massimino, raffigurata recisa per rappresentare il trionfo della sapienza cristiana di Caterina sull’ignoranza pagana.
Pur caratterizzata da alcuni di questi attributi iconografici come la ruota dentata e lo stuolo di angeli dalle vesti svolazzanti che accorrono ad incoronare la santa, la tavola teanese (fig. 2) si contraddistingue, rispetto alle analoghe rappresentazioni, per un impianto più fluido e articolato; secondo uno schema, che, mutuato probabilmente da un più datato prototipo di Marco Pina da Siena, dispone le contorte figure dei carnefici, sbaragliate dai fulmini che arrivano dal cielo, tutt’intorno alla figura della martire, rappresentata inginocchiata al centro della scena - coperta solo da un velo che le ricopre i seni recisi e da un manto giallo che le avvolge le gambe - con lo sguardo mite e le braccia aperte in segno di preghiera e dedizione al Signore. La tavola è contrassegnata in basso a destra da uno stemma cimato con corona di duca, nel cui scudo, accartocciato e ripartito in tre campi, sono rispettivamente presenti, cinque gigli di Francia e una corona nel primo, una stella e un gallo nel secondo, tre teste di moro nel terzo. La presenza di un gallo nello stemma lascia ipotizzare una possibile committenza della tavola da parte del ramo teanese dei Galluccio; ancor più se si tiene conto che il Corenzio - già individuato, fin dal 1705, nell’“Inventario de' Suppellettili e Descrittione di Alcuni Beni dell'Edificij, della Chiesa, e Monastero di S. Catherina delle RR SS.re DD. Monache Benedettine Cassinesi della Fedelissima Città di Teano Sidicino”, quale “famosissimo” autore del dipinto - aveva avuto contatti con questa famiglia allorquando, nei primi anni del Seicento gli era stato commissionato il ciclo pittorico dedicato al Martirio degli Apostoli e dei Protomartiri nella cappella Galluccio (ora del Volto Santo) ubicata a destra dell’abside nella cattedrale di Lucera. Circa l’attribuzione del dipinto teanese al Corenzio vanno registrati, peraltro, gli autorevoli pareri di alcuni studiosi, tra cui quello di Pier Luigi De Castris, il quale, nella tavola vi riconosce, accanto alla “matrice di manierista internazionale” del pittore, la lezione di Teodoro Fiamingo, di Francesco Curia, di Girolamo Imparato ma anche quella di alcuni manieristi romani, in particolare del Cavalier d’Arpino e di Giovanni Baglione; non prima, tuttavia, di averla accostata al Corenzio sulla scorta del confronto con l’analogo affresco realizzato dal pittore nella cappella di San Nicola della certosa di San Martino di Napoli. Del resto, il Corenzio, già incontrastato dominatore del mercato artistico napoletano fino ad alimentare nella penna dei contemporanei la leggenda di essere particolarmente violento, facinoroso e privo di ogni scrupolo con i colleghi pur di accaparrarsi le varie commesse, aveva a lungo operato a Teano sin dalla fine del XVI secolo - come ricordano alcune polizze di pagamento - aprendovi una bottega nei primi decenni del secolo successivo, bottega in cui si formarono e operarono, tra gli altri, due pittori del posto, Orazio De Garamo e Ferrante Macario. È ipotizzabile che Il Martirio di S. Caterina sia stato realizzato proprio negli anni in cui il Corenzio tenne bottega a Teano presumibilmente mentre, nel contempo, eseguiva alcuni affreschi per la certosa di San Martino - tra cui quelli per la già citata cappella di San Nicola - dove lavorò a più riprese, praticamente per quasi l’intero arco della sua attività artistica (che qui non ci è dato illustrare per esigenze di spazio) dal 1591 al 1636.
Di rilevanza, invece - quasi esclusivamente storica, nel primo caso, solo iconografica, nel secondo - sono le altre due immagini di santa Caterina che si conservano a Teano: l’una costituita dall’affresco cinquecentesco che adorna la parete absidale sinistra della cappella di Santa Maria della Purità nella piccola frazione di Carbonara (fig. 3); l’altra dall’affresco settecentesco che campeggia nella lunetta ogivale che sovrasta il portale della chiesa di Santa Caterina - rappresentata nell’atto di unirsi in matrimonio mistico con il Bambino Gesù, secondo un’iconografia che, nata nel XV secolo, era in molti casi preferita alla rappresentazione del cruento martirio della santa (fig.4).
Se l’affresco di Carbonara - inserito in un riquadro delimitato da decorazioni e motivi geometrici, cui fa da pendant, sulla destra, un analogo riquadro con la Madonna che abbraccia Gesù Bambino - ci restituisce, infatti, una stereotipata effige di santa Caterina di scarso interesse artistico ed iconografico (peraltro in pessime condizioni di conservazione), è pur vero che la scritta HOC OPUS F(ecit) F(iere) LAURA PECERELLA P(er) SUA DEVOTIONE (Questa opera fece fare Laura Pecerella per sua devozione) apposta in calce, ci restituisce, viceversa, con il nome della committente nella persona di tale Laura Pecerella, appartenente, forse, ai Signori del paese, un piccolo ma prezioso tassello per la storia di questa piccola comunità.
Per quanto riguarda l’affresco con la rappresentazione del Matrimonio mistico di santa Caterina, a quanto già detto aggiungeremo solo che questa iconografia deriva da un testo medievale dove si racconta che la santa, dopo esser stata battezzata, ebbe in visione la Madonna con in grembo il Bambino Gesù che le infilava al dito un anello, facendola sua sposa in un tripudio glorioso di angeli e santi (allegoricamente sostituiti nell’affresco ogivale in oggetto da una consorella benedettina dell’annesso monastero).

Franco Pezzella
(da Il Sidicino - Anno XX 2023 - n. 2 Febbraio)

 
Fig. 2 - B. Corenzio, Il martirio di S. Caterina
Teano, Chiesa di S. Caterina
Fig. 3 - Carbonara di Teano
Fig. 4 - Teano, Chiesa di S. Caterina