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LUCIO CARACCIOLO / la visita del re Ferdinando II

a Pietramelara del 7 maggio 1836
 

Un personaggio controverso e dalle mille sfaccettature, un pietramelarese di cui si parla poco o niente, e forse a torto, perché ebbe una vita avventurosa e seppe con un certo pragmatismo molto partenopeo aggirare e superare le traversie politiche che avrebbero potuto avere ripercussioni negative sulla sua vita.
Era figlio di Vincenzo Caracciolo, duca di Mignano e di Roccaromana, e di Petronilla de Lignéville (il cui monumentale albero genealogico su pergamena si conserva nel museo annesso alla chiesa di Sant’Agostino), militare di carriera, Lucio Caracciolo si distinse sconfiggendo, alla guida di un reggimento di cavalleria, le truppe francesi che avevano occupato Caiazzo durante l'invasione francese del Regno di Napoli (8 gennaio 1799).
Assieme a Girolamo Pignatelli, principe di Moliterno, il 14 gennaio 1799 Lucio Caracciolo fu nominato comandante del popolo napoletano deciso a difendersi da solo contro gli invasori francesi dopo l’armistizio di Sparanise dell'11 gennaio. Il Colletta, storico partenopeo, ci dice che i due ufficiali erano popolari perché «nobili, domatori arditi di cavalli, e (che più val su la plebe) grandi e belli della persona». I due tuttavia non riuscirono a controllare la reazione dei lazzari, la situazione sfuggì loro di mano e, mentre Napoli precipitava all'anarchia, si rifugiarono nel forte di Sant'Elmo, il cui comandante era Nicola Caracciolo, fratello di Lucio. Nella notte tra il 19 e il 20 gennaio cedettero il forte ai ribelli filo francesi.
Nel successivo decennio napoleonico fu fedele a Gioacchino Murat, e colonnello del reggimento dei Veliti a cavallo (1808); prese parte valorosamente alla Campagna di Russia nella quale subì il congelamento degli arti. Con la Restaurazione e il ritorno dei Borboni, il 26 dicembre 1818 fu nominato tenente generale.
Il preambolo biografico che precede ci introduce in un episodio di grandissima importanza per un centro come Pietramelara: la visita ivi compiuta da Ferdinando II, sovrano delle Due Sicilie, il giorno 7 maggio 1836, il cui ricordo (sbiadito) si ritrova sulla piccola lapide posta all’ingresso del nostro Palazzo Ducale.
Cosa indusse il Re a recarsi nell’austero palazzo fatto costruire due secoli prima da Faustina Colonna? Erano quelli gli anni della restaurazione, e la dinastia borbonica era in affanno per consolidare il potere nel più bello ed esteso regno della penisola. I rapporti fra i Borboni e i nobili del regno non erano mai stati buoni, da sempre; pertanto la ragion di stato ed il bene della dinastia imponevano diplomazia e tatto, per rinsaldare quel legame mai stato solido; leggiamo dalla lapide che il sovrano dovette sobbarcarsi ben quattro ore a cavallo, da San Leucio a Pietramelara, per far visita a Lucio Caracciolo, Capitano delle Reali Guardie del Corpo ed informarsi personalmente del suo stato di salute.
Qualcuno, però, vuole che non si sia trattato solo di un atto di cortesia, e che la volontà vera del Re era una sorta di visita fiscale ante litteram, perché la prolungata assenza del Caracciolo dalla Corte Borbonica aveva finito per indispettirlo ed insospettirlo.
Quanto ci sia di vero in tali dicerie non lo sapremo mai, ma forse Ferdinando II era uno di coloro che tengono fede al principio secondo il quale “A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”, ed allora il monarca dovette pensare “Già in più occasioni mi sei stato contrario, ed io ti ho perdonato e ti ho fatto far carriera e … ora? Dici di star male per star lontano dagli impegni di corte? Lascia quindi che io mi accerti di persona dei veri motivi che ti fanno preferire Pietramelara alle reali residenze”.
La storia purtroppo ci rivela che quelle del Caracciolo non dovevano essere state assolutamente delle scuse, se è vero, com’è vero che la sua morte sopravvenne solo qualche mese dopo, il 2 Dicembre 1836, in Napoli, dove venne sepolto in una cappella della Chiesa di San Giovanni a Carbonara.

Francesco Sabatino
(da Il Sidicino - Anno XX 2023 - n. 11 Novembre)

Lucio Caracciolo nel ritratto di Gaetano Forte
(museo di San Martino)