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Democrazie parallele

 

Sono emersi a migliaia dalle schiere indifferenziate degli indigenti per assumere posizioni di rilievo negli organismi legislativi statali e nazionali. Non dispongono di particolari capacità né di una preparazione specifica a volte non possiedono neppure le basi della scrittura e dell'oratoria. Molti sono criminali. Pochi hanno da offrire qualcosa di più della loro casta e della loro identità religiosa. Nella maggior parte dei casi si accontentano di saccheggiare le risorse del paese, e talora condividono il bottino con i membri del gruppo castale o familiare. Tutti inseguono il potere, che si riduce quasi sempre all'opportunità di innalzarsi al di sopra degli altri per assaporare i lussi del mondo: viaggi a New York a spese del governo, giri in elicottero, biglietti ferroviari e forniture di benzina gratis, guardie personali, macchine con l'autista, folle di postulanti in attesa davanti alla porta di casa… Dietro il melodramma infinito della politica indiana non c'è molto più della paura che attanaglia questi uomini elevati al di sopra del loro status: il timore di perdere da un momento all'altro il diritto acquisito alle ricchezze della terra, e di vedersi relegare da capo nello squallore di una stanzetta in un vicolo, nella mediocrità e nell' insignificanza dalle quali li ha salvati la professione della politica.”
Sembra una pagina scritta da un italiano rivolto agli italiani. Invece è di un indiano, riportata in “La speranza indiana” dell'autorevole giornalista Federico Rampini, Premio Luigi Barzini nel 2005 e Premio Saint Vincent nel 2006.
Certo la democrazia non soddisfa chi vorrebbe logica (illogica la reciproca delegittimazione di maggioranza ed opposizione che arriva fino alle radici: la maggioranza eletta viene contestata immediatamente dopo le elezioni laddove negli USA lo sconfitto si congratula con l'eletto e si dichiara disposto a collaborare) e ordine nella res publica. Il matematico e filosofo Piergiorgio Odifreddi, intervenuto il 5 febbraio alla rassegna organizzata dall'ateneo napoletano “Come alla corte di Federico II” ha asserito: “La democrazia è un concetto utopico e indimostrabile. I nostri sistemi elettorali e istituzionali ci illudono che prevalga la volontà della maggioranza, ma in realtà non sempre questo si verifica. Spesso la democrazia è solo un mito”.
Volgiamo lo sguardo, allora, in direzione opposta a quella dei professionisti della politica e troviamo questa singolare richiesta di consenso del duca di Lévis, lord Brabourne, ai Pari del Regno Unito: “La nostra presenza in questa Camera non è giustificata dal merito, ma dalla nostra indifferenza per ciò che offre la vita ordinaria. Essendo ricchi non possiamo essere corrotti. Essendo uomini di potere non possiamo essere tentati. Essendo superiori non possiamo essere lusingati. Alzandoci così al di sopra della democrazia la solleviamo con noi. Datemi il vostro voto, perché francamente non ne ho bisogno”.
Tertium non datur ?..
Il ruolo che si attribuisce alla politica non solo è esagerato, ma addirittura smisurato. La politica è un vampiro che succhia il sangue dei popoli. Le pretese della politica sono esorbitanti. Sono sempre pretese totalitarie. La politica si attribuisce il potere sulla vita umana e non soltanto sull'ambito propriamente politico dell'esistenza ma anche su tutta una serie di manifestazioni che con la politica non hanno nulla in comune: sulla vita religiosa, spirituale, intellettuale, sulla creatività umana. Non rimane più alcun eremo in cui rifugiarsi lontano da questo potere. La politica è fingere di ignorare ciò che si sa benissimo e di sapere ciò che si ignora; fingere di capire ciò che non si capisce e di non capire ciò che si capisce assai bene; fingere di essere potenti al di là delle proprie forze; avere spesso da nascondere questo gran segreto, che non c'è nessun segreto da nascondere; sembrare profondi quando si è vuoti; darsi bene o male le arie di un personaggio importante; diffondere delle spie stipendiate dai traditori; cercare di nobilitare la povertà dei mezzi con l'importanza dei fini; ecc.
In un punto un bugiardo politico differisce dagli altri esperti della stessa arte: egli dovrebbe salvare solo un breve ricordo di aver giurato sulle due facce della contraddizione a seconda di come aveva trovato disposte le persone con cui aveva avuto a che fare. La superiorità del suo genio consiste solo ed esclusivamente in un'inesauribile riserva di menzogne politiche che egli prodigalmente distribuisce appena apre bocca, e che con incomparabile generosità dimentica e spesso accade che se una menzogna è creduta solo per un'ora, essa ha già svolto il suo compito e non ha altro motivo di esistere. La falsità vola e la verità zoppicando le viene dietro; cosicché quando gli uomini arrivano a ricredersi, è troppo tardi, la beffa è finita e il racconto ha avuto il suo effetto.
Conclusione di tanta “antipolitica”, l'asserto assunto (cioè condiviso) di Winston Churchill: La democrazia è il peggiore dei sistemi politici, con l'eccezione di tutti gli altri.

Lucio Salvi
(da Il Sidicino - Anno VI 2009 - n. 4 Aprile)