TEANO

 
Il passato
 
I Sidicini
 
ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL POPOLO DEI SIDICINI

 

di Paola Iannaccone
 
Arduo e complicato, ma anche estremamente affascinante, è il compito di chi decide di indagare sulle origini dei popoli dell’Italia Antica.
Quando poi lo studio in questione interessa le popolazioni che abitarono la Campania, la faccenda diventa ancor più complicata.
A differenza di quanto avviene in altre parti della penisola, come l’Etruria, il Lazio Antico o l’Apulia, dove all’alba del primo millennio a.C., il processo etnogenetico può dirsi ormai concluso, in Campania è proprio durante questo periodo che esso si compie attraverso un continuo riassetto di equilibri precari.
Ai Greci della costa ed ai popoli indigeni dell’interno si aggiunge, in questa regione, la presenza degli Etruschi che, facendo della Campania una loro area di espansione e di popolamento, le conferiscono un risalto particolare.
La presenza non solo dei Greci ma anche degli Etruschi, infatti, favorisce notevolmente la ristrutturazione socio-politica delle comunità indigene, fungendo da stimolo per una loro omologazione culturale.
Non si tratta, però, di un processo unitario: l’intensità del contatto ed il grado di maturazione raggiunto dalle diverse comunità  determinano una notevole differenziazione che favorisce il sorgere di precise identità tribali.
Nella Campania Settentrionale, il territorio compreso tre il distretto vulcanico di Roccamonfina, gli ultimi rilievi Trebulani, il monte Massico e la piana costiera fu occupato in epoca storica dal popolo dei Sidicini.
Un’organizzazione di tipo pagano-vicanica  con villaggi segnalati da piccoli nuclei di necropoli, caratterizza il territorio occupato da questo popolo di stirpe italica e di lingua osca.
Ma chi erano i Sidicini?
Virgilio, nel VII libro dell’Eneide, li cita nel catalogo degli Italici che affiancarono il re Turno contro Enea.
Polibio (III, 91) descrivendo la pianura intorno Capua, che definisce “la più rinomata d’Italia”, afferma che in essa si trovano le città più belle e famose della penisola; alcune sulla costa, altre, invece, come Cales e Teano, nell’entroterra.
Strabone (V, 4, 10) definisce Teanum Sidicinum, capitale dell’omonimo popolo, la più importante città della Campania Settentrionale Interna, subito dopo Capua.
In V, 1, 9, inoltre, il geografo, parlando del territorio dei Sidicini, dice che sono “Osci, del popolo scomparso dei Campani”.
In effetti, presa alla lettera, una tale affermazione desta non poche perplessità.
In un noto saggio relativo alle origini dei popoli della Campania Antica, Ettore Lepore, illustre studioso di Storia Antica, sostiene che, in questo passo di Strabone, dietro la menzione della scomparsa degli Osci, si intravede una fonte ben precisa: Posidonio. Tipica dell’analisi etnografica di Posidonio è, infatti, la menzione della scomparsa delle popolazioni di origine osco-sabelliche dell’Italia Meridionale.
In un altro passo piuttosto problematico, Strabone (V, 4, 3), dopo aver parlato di un conflitto di opinioni tra Antioco di Siracusa e Polibio, afferma che la Campania fu abitata dapprima da Opici ed Ausoni, poi fu occupata da un popolo degli Osci, a sua volta schiacciato dai Cumani.
Questi furono poi scacciati dagli Etruschi e, successivamente, il potere passò ai Sanniti e poi ai Romani.
Al di là dei problemi  determinati dal fatto che Strabone, rifacendosi alla sua fonte (che secondo Lepore sarebbe Timeo di Tauromenio), semplifica in maniera estrema una realtà che è, invece, molteplice e contemporanea, il passo in questione risulta problematico, secondo Lepore, in particolare per un moderno emendamento basato sul tentativo di comprendere una parte del testo che, in effetti, sarebbe guasto.
Nel testo di Strabone si legge: oikountwn Opikvn proteron kai Absouwn. (Traduzione: la Campania “abitandola dapprima gli Opici e gli Ausoni”) seguito, nei codici, da oi d ekeinous.
“Oi d ekeinous” in effetti, è intraducibile se lasciato in questo contesto.
Si è pensato, pertanto, che il testo fosse corrotto. Una proposta di correzione è stata avanzata dal Madvig che sostituisce “oi d ekeinous” con “Sidikinous” (Sidicini) intendendo, in tal modo: la Campania, “abitandola dapprima gli Opici e gli Ausoni, occuparono poi i Sidicini, un popolo Osco”.
Nonostante l’emendamento del Madvig fosse stato largamente accettato da altri studiosi, esso viene rifiutato dal Lepore, il quale, come il Wikén, preferisce considerare “oi d ekeinous” una glossa da espungere.
Lepore, infatti, non accetta l’emendamento del Madvig ritenendo i Sidicini una tribù di interesse locale che non può,quindi, essere annoverata nella schiera dei principali popoli che si succedettero nel dominio della pianura campana.
Di parere diverso è un altro autorevole studioso, Giovanni Colonna, il quale sostiene che, al di là dell’emendamento del Madvig, e quindi al di là del fatto che i Sidicini siano o meno il popolo osco menzionato da Strabone, ciò che emerge chiaramente in Strabone (V, 4, 3) è una distinzione tra una fase Ausonica-Opica ed una fase Osca nella preistoria della Campania.
Inoltre, secondo Colonna, sembra proprio che per Strabone gli Osci, perdendo il controllo della pianura Campana, analogamente a quanto avvenuto agli Ausoni dopo l’invasione dei Volsci, siano stati relegati nella periferia settentrionale della Campania, a ridosso di Cales, già occupato proprio dagli Ausoni.
I Sidicini, dunque, sarebbero stati l’ultima sopravvivenza degli Osci, con capoluogo a Teano, città che diventa poi tra le più importanti della Campania Settentrionale Interna.
L’equivoca definizione degli Osci come popolo scomparso dei Campani, deve quindi essere interpretata, secondo Colonna, in senso geografico. Quindi Osci come “popolo scomparso della Campania” o meglio come “popolo separato della Campania”, nel senso di popolo dislocato in una parte periferica della Campania.
Secondo Colonna, in sintesi, La Campania Antica, fu abitata dagli Ausoni, che la storiografia greca tardo-arcaica considerava abitanti primitivi, “autoctoni”, di questa regione e di una parte del Lazio. Nel V secolo a.C. fu poi introdotto il concetto ed anche il nome di Opici, usato da alcuni storici antichi per evidenziare le differenze esistenti tra gli abitanti del territorio compreso fra Minturno e Sinuessa, che continuavano a farsi chiamare Ausoni, ed i popoli che abitavano la pianura Campana, influenzati in maniera più consistente da Greci ed Etruschi, e che proprio allora cominciavano ad autodefinirsi Campani.
In età ellenistica fu realizzata un’ulteriore distinzione, con l’introduzione dell’etnico latino “Osci”, usato, secondo Colonna, proprio per dar conto della dislocazione, in un’area periferica della regione, di un altro popolo “separato” della Campania: i Sidicini.
Non è chiaro come e quando i Sidicini abbiano occupato gli antichi territori della Campania Settentrionale, nei quali più tardi fonderanno Teanum.
Sembra, comunque, che il tutto sia avvenuto nel corso del VI secolo a.C., in modo piuttosto graduale, in assenza, quindi, di un fenomeno di immigrazione massiccia.
Il territorio in questione, ad ogni modo, fu abitato fin dall’età preistorica da gruppi di cacciatori-raccoglitori.
A partire dal VII secolo a.C. le testimonianze archeologiche diventano più cospicue.
Indagini compiute agli inizi degli Anni 80 del Novecento in località Taverna di Torricelle hanno consentito di verificare la presenza in quest’area, in un’età relativa all’VIII – VII secolo a.C. di esponenti della cosiddetta “cultura Ausoni-Aurunca”.
La collocazione stessa delle due stipi votive, venute in luce in seguito agli scavi e la loro vicinanza a fonti di acqua perenni, hanno fatto ipotizzare l’esistenza in situ di un santuario campestre, dedicato probabilmente ad una divinità muliebre, da collegare ancora agli Ausoni “popolo delle fonti”.
Nel corso del secolo successivo, in piena età arcaica, la regione comincia ad essere occupata dai Sidicini.
Un’organizzazione di tipo pagano-vicanica, con villaggi segnalati da piccoli nuclei di necropoli caratterizza, almeno nel VI secolo a.C., il territorio occupato da questo popolo di stirpe italica e di lingua osca.
I rinvenimenti di Terragnano, Pugliano e Valle d’Assano, a sud-ovest di Teano, come pure quelli di località Torricelle, a sud-est della città, risalgono all’inizio del VI secolo a.C. o, forse, addirittura alla fine del secolo precedente.
Ad un’età di poco posteriore (fine VI – inizio V secolo a.C.) risalgono, invece altri piccoli villaggi sparsi sul medesimo territorio. È il caso dell’insediamento di Monte San Giulianeta, come di quelli ipotizzati nella zona di Loreto e Fontana Regina ed a Fondo Ruozzo e a Settequerce.
Un evidente processo di aggregazione insediativa, segnalato dalla presenza di una rete di santuari che demarcano il territorio, si verifica, dunque fin dall’età arcaica.
Strabone (V, 4, 11) fa notizia di una coppia di templi dedicati a Fortuna che dovevano segnare il confine tra Teano e Cales.
In altri casi le aree di culto dovevano riferirsi ai singoli pagi. Ne sono un esempio quelle a cielo aperto di contrada Fontana Regina o in località Taverna di Torricelle ed anche i complessi sacri di Loreto e di fondo Ruozzo.
L’affermarsi di un forte senso di appartenenza alla comunità caratterizza la vita religiosa dei Sidicini durante il VI secolo a.C., al punto che, alla fine del secolo, analogamente a quanto avvenuto presso altre popolazioni italiche, nei due più importanti complessi santuari ali della comunità, quello di località Loreto e quello di località Masseria Soppegna – fondo Ruozzo, le manifestazioni religiose assunsero caratteri sempre più marcatamente politici.
Santuario come luogo di culto, dunque, ma anche come fulcro della vita politica, sociale, economica.
In maniera eloquente i due complessi sacri principali sorsero proprio in prossimità del Savone, il piger Savo di Stazio, fiume nazionale dei Sidicini.
Il santuario di località Loreto, indagato da W. Johannowsky negli anni Sessanta del Novecento e recentemente dal dott. Francesco Sirano con la collaborazione scientifica del dott. Tommaso Conti, sorse infatti sulle pendici orientali del costone di Loreto, occupando una terrazza naturale che domina il Savone.
Dagli scavi degli anni Sessanta emerse chiaramente che l’area sacra, nel momento di massimo splendore del santuario (II secolo a.C.), doveva raggiungere un’estensione superiore ai due ettari ed essere disposta su almeno quattro terrazze.
Tra i materiali rinvenuti negli anni Sessanta, particolarmente significative sono delle antefisse a testa femminile, che trovano confronto con tipi capuani.
Eccezionali anche i rinvenimenti degli scavi dell’estate 2002. Si segnala, in particolare, una testa femminile in terracotta con copricapo a polos che può essere senza dubbio annoverata tra le più pregevoli opere di artigianato campano della metà del V secolo a.C. e che rivela stretti rapporti con realizzazioni coeve sia campane sia etrusche. Accanto ad essa altri frammenti di statue femminili in terracotta, di grandezza pari o superiore al vero, caratterizzate dalla presenza di fanciulli sulle spalle. Tipologicamente questi ultimi esemplari possono essere accostati ad alcuni rinvenuti durante gli scavi effettuati nell’altro importante santuario sidicino, quello di fondo Ruozzo, fino al 2002 mai attestati nell’area sacra di Loreto. L’alto livello stilistico, accostato alle peculiari caratteristiche iconografiche, hanno fatto ipotizzare una connessione con il culto di Pupluna, dea italica del puplum; culto già attestato con certezza nello stesso santuario di Loreto grazie al rinvenimento di alcuni documenti epigrafici graffiti in osco relativi, però, ad epoche più recenti.
Alla fine del IV secolo a.C., in coincidenza con la fondazione, per sinecismo, della madrepatria dei Sidicini, Teanum, il santuario subisce una notevole monumentalizzazione, grazie anche alla realizzazione di un impianto scenografico a terrazze che si concluderà definitivamente solo in età sillana.
Il complesso sacro di Loreto, oramai pienamente inserito all’interno della città. Diventa il maggior santuario cittadino dei Sidicini, situato in posizione strategica anche per la vicinanza con la via Latina che conduceva verso Allifae.
Ci si è spesso interrogati su quale o quali fossero le divinità venerate nel santuario di località Loreto. Per quanto riguarda la fase più antica, sulla base del rinvenimento di numerose offerte votive raffiguranti donne incinte o madri con bambini, si è supposto che la divinità venerata fosse una dea con attributi connessi alla procreazione ed alla maternità. Probabilmente già dalla metà del V secolo a.C. il culto principale diventa quello di Pupluna, divinità del puplum, inteso nelle tavole iguvine come popolo atto alle armi.
Pupluna, dea di origini osco-sabelliche il cui culto, almeno da una certa epoca, appare attestato in maniera particolare a Teano, Aquino ed Isernia, assolve in effetti alla duplice funzione di dea protettrice del popolo in armi (puplum), ma anche di dea della fecondità e della maternità. A quanto sembra, fin dal IV secolo a.C. il culto indigeno viene assimilato da quello romano di Iuno Populonia che, fino ad età imperiale inoltrata, ebbe nella città madre dei Sidicini una valenza straordinaria, al punto da poter ipotizzare per tale dea un ruolo di divinità poliadica. È importante sottolineare, tuttavia, che i materiali rinvenuti nel santuario, in particolare gli oggetti votivi e le terracotte architettoniche, sembrano richiamare anche altri culti femminili legati a divinità identificabili di volta in volta con Cerere, Atena, Artemide. Ciò ha indotto alcuni studiosi a parlare di culto matronale multiplo, con la compresenza di più numi all’interno di una dimensione sacrale globale. Ancora, interesse particolare, dalla fine del IV secolo a.C. o inizio del III secolo a.C., viene mostrato a Loreto nei confronti di Ercole, l’eroe che, secondo la leggenda, dopo aver concluso l’impresa delle vacche di Gerione ed aver sostato per un periodo a Roma, nel suo viaggio di ritorno verso la Grecia avrebbe attraversato la via latina che passava per Teanum Sidicinum.
In effetti, proprio per la sua posizione, dominante il tracciato della via Latina (Strabone V, 3, 9), Teanum diviene presto un centro di particolare importanza, al punto che il geografo Strabone (V, 4, 10), come già detto, la definisce la città principale della Campania Interna subito dopo Capua.
Certamente una tale definizione doveva essere in parte giustificata dalla presenza in territorio sidicino di un altro importantissimo complesso santuariale, quello sito in località Masseria Soppegna – fondo Ruozzo, indagato tra il 1980 ed il 1983 da un’èquipe franco-italiana diretta da J. P. Morel.
Come l’area sacra di Loreto, anche il santuario di fondo Ruozzo sorgeva su un pianoro prospiciente il corso del Savone, lungo un percorso viario che conduceva in direzione della costa, ma, a differenza dell’area sacra di Loreto, inglobata all’interno delle mura cittadine al momento della fondazione della città, quella di fondo Ruozzo, non distante in linea d’aria dal territorio di Cales, può forse, al contrario, essere considerato un santuario di confine. Molto probabilmente, infatti, il complesso sacro era frequentato anche dai pellegrini dei territori limitrofi. Nel tesoro della dea sono state trovate, infatti, monete di città campane ed anche raffinate ceramiche di Cales e Suessa, cosa che richiama alla mente l’organizzazione dei santuari di confine, che non si presentavano esclusivamente come luoghi sacri, ma anche come luoghi d’incontro all’interno dei quali si svolgevano, proprio con l’auspicio delle divinità venerate, fiere e mercati. L’edificio più antico era in blocchi di tufo, decorato da semicolonne con capitelli d’ispirazione a metà strada tra gli stili ionico ed eolico; sulla trave del tetto si trovavano verosimilmente alcune antefisse a testa femminile entro un nimbo, la cui notevole somiglianza con altre note nell’antica Capua e nel santuario della dea Marica alle foci del Garigliano ha fatto ipotizzare l’uso delle stesse matrici o di matrici derivate. Verso la fine del III secolo a.C., durante la seconda guerra punica, in coincidenza con il passaggio di Annibale in Campania, il santuario subì un duro colpo, determinato dalla distruzione degli edifici sacri e da un relativo rallentamento delle attività. La crisi durò quasi un secolo ma, dalla fine del II secolo a.C., il complesso sacro visse un nuovo momento di grande splendore. Venne costruito un nuovo santuario che, però, mai completato, fu abbandonato non molto tempo dopo, probabilmente all’epoca della grande guerra sociale (91 a.C.).
In relazione al tempio arcaico, di grande suggestione è una statua acefala, di grandezza pari al vero, recante nelle mani un porcellino, attributo che la accosta immediatamente al culto di Demetra. Le larghe spalle, la linea slanciata ma robusta, le pieghe stilizzate dell’abito inducono a suggestivi confronti con la coroplastica etrusca di età arcaica, in particolare con il gruppo acroteriale del tempio del Portonaccio di Veio. Si è pensato, pertanto, che dietro tale realizzazione si nascondesse un’officina etrusco-provinciale, probabilmente capuana. Al culto di Demetra, divinità molto venerata in città come Cuma, Napoli, Capua (fondo Patturelli), rinvia anche una testa con modio, copricapo tipico di questa dea, databile all’inizio del IV secolo a.C.
Ciò che appare importante notare è che a Teano il culto di tale divinità, a differenza che altrove, non è accompagnato da quello di Kore-Persefone, segno questo di una certa autonomia culturale e cultuale dei Sidicini.
In effetti anche gli aspetti religiosi sembrano confermare l’impressione ricavabile dai fatti artigianali circa la connotazione di quest’area quale enclave culturale. La comunità sidicina, infatti, pur avendo frequenti e proficui rapporti con l’esterno, è capace di rielaborare le esperienze, le mode artigianali ed artistiche esterne, in maniera del tutto originale ed autonoma.
Demetra non accompagnata da Persefone, dunque, e quindi concepita principalmente come divinità delle messi e della fertilità. Numerosissimi gli ex-voto, riferibili ad un lungo arco cronologico compreso tra il IV ed il II secolo a.C., legati alla fecondità: donne incinte, donne che allattano, bambini in fasce, ma anche uteri, mammelle, raffigurazioni di animali; di particolare interesse una scrofa di cinghiale dalle mammelle molto pronunciate. Numerosi anche gli ex-voto legati alla fertilità agricola: macine, falci, utensili agricoli di vario genere, oppure contenitori di derrate in miniatura, destinati a raccogliere offerte alimentari, forse primizie del raccolto.
Accanto ad oggetti connessi al culto demetriaco, a partire dal III secolo a.C. sono attestate anche statuine di Artemide ed Afrodite, mentre le uniche divinità maschili sembrerebbero essere Dioniso ed Eros. Se le divinità maschili sembrano scarsamente testimoniate, non si può dire altrettanto degli offerenti. Frequenti sono infatti le rappresentazioni di guerrieri armati di tutto punto o raffigurati in nudità eroica. Accanto ad essi singoli elementi richiamanti la guerra: scudi di bronzo o di terracotta, punte di lancia. Particolarmente suggestive, inoltre, come già a Loreto, sono alcune statue femminili di grandezza naturale o superiore al vero, recanti sulle spalle personaggi di dimensioni molto più piccole, che si è pensato potessero essere collegate al culto di Pupluna, dea poliadica della città. La dea appare contemplata qui anche attraverso un’altra valenza: quella di protettrice dei giovani nella fase di passaggio dall’adolescenza all’età adulta.
Luogo di riunione e di affermazione dell’appartenenza al popolo dei Sidicini, il santuario di fondo Ruozzo si presenta come il punto di riferimento fondamentale per l’intera comunità, che qui ritrova le radici della propria identità culturale.
Le numerosissime terrecotte rinvenute all’interno dell’area sacra raffigurano, in molti casi, proprio i rappresentanti della comunità: uomini e donne vestiti in abiti civili, con eleganti copricapo e calzature dalle punte ricurve, simili ai calcei repandi etruschi che, negli ex-voto offerti alla divinità, amano rappresentare se stessi in quanto partecipanti attivi alla vita della comunità.

Paola Iannaccone
(da Il Sidicino - Anno III 2006 - n. 01 e 02 - Gennaio e Febbraio)