Gli animali
Premessa
Da molti anni (forse più di tre decenni) vado raccogliendo detti popolari, non solo dalla lettura di volumi che riguardano tale argomento, ma anche e soprattutto dalla viva voce d'amici, parenti e conoscenti, oltre che da persone che s'incontrano per caso. Molta riconoscenza devo esprimere anche a colleghi di scuola e al personale non docente che, conoscendo questa mia "curiosità", mi hanno aiutato a raccogliere, evitando così di disperderle, queste testimonianze di saggezza popolare.
Molti detti trovano riscontro nelle numerose raccolte già pubblicate (spesso con varianti); ma ne ho ascoltato parecchi che sono patrimonio particolare della nostra zona.
Il materiale raccolto è vasto: come distribuirlo? Ho creduto opportuno dividerlo in gruppi tematici.
Finora ho già trattato due argomenti: l'alimentazione e la religione; il primo fu pubblicato nel 2° numero del quadrimestrale Le Muse (maggio-agosto 1999, pp. 23-27), il secondo, già pronto fin dal 2000, solo di recente ha visto la luce (febbraio 2008) in opuscolo; nel presente saggio affronto il tema degli animali.
Introduzione
La presenta degli animali nei detti popolari è abbastanza ampia, nel nostro lavoro di ricerca ne abbiamo contato circa una settantina, tutti raccolti dalla viva voce di persone come si diceva nella premessa. Successivamente abbiamo consultato vari volumi a stampa (si veda la bibliografia) per verificarne la già eventuale avvenuta registrazione e, come si diceva, parecchi sono risultati "nuovi".
Ecco gli animali riscontrati: asini, maiali, pecore, buoi, galline, cavalli, cani, capre, volpi, uccelli, pulci, "marruche", lupi (accoppiati a capra e pecora); e poi ancora, il "pàppece" (cioè il tarlo), la "cardella", lo "scarrafone", la "sarda", il "vèrmene", la "mèrula", la "pàpera", la "fatta", la "ciucciuvéttula" e, infine, la "zòccula".
Per prima cosa, va osservato che tutti questi animali ricorrono con una frequenza diversa; nel nostro elenco, a partire dal "pàppece" e giù giù fino alla "zòccola", essi compaiono una sola volta; più di una volta invece uccelli marruche e pulci; la volpe è presente in tre detti, in uno dei quali è naturalmente in relazione alle galline. Galline e pecore fanno registrare una discreta presenza (del gruppo delle galline fanno parte anche galli e pulcini); una presenza più massiccia hanno cani e porci, della qual cosa non c'è da meravigliarsi perché questi erano molto familiari, per motivi diversi, al contadino dei secoli trascorsi.
Ma al primo posto in questa graduatoria troviamo la figura dell'asino: ben oltre 15 detti lo riguardano.
Troviamo dunque, in questa raccolta di detti, animali grandi (asini, cavalli, buoi) medi (maiali, capre, pecore, cani), piccoli (papera e gatta) ancora più piccoli (zoccole, marruche e pappece), piccolissimi e ripugnanti (pulci e vermi e scarafaggi); oltre agli animali domestici sono presenti anche lupi e volpi; a quelli che vivono sulla terra si aggiungono quelli del cielo: gli uccelli in genere, la cardella, la merla, la civetta; non manca infine qualche rappresentante marino come la sarda, conosciuta però solo come sotto sale (la nostra terra è lontana dal mare; quindi il pesce in generale non rientrava nell'alimentazione dei nostri avi).
L'asino, si diceva, è l'animale con il più alto numero di presenze; il suo nobile cugino, il cavallo, è presente invece solo in tre proverbi; e ci sembra naturale questo rapporto se si considera che nella società d'antico regime la massa era costituita dal cosiddetto terzo stato, il popolino (formato da braccianti e contadini), mentre la nobiltà era l'élite; pertanto i nobili (e con loro i chierici) usavano il cavallo, il popolino si serviva dell'asino.
L'asino (I parte)
Dopo questo quadro panoramico complessivo, scendiamo ora nei particolari, considerando gli animali singolarmente e cominciamo dall'asino che occupa il primo posto.
I detti che lo riguardano sono quasi tutti di segno negativo; l'asino dunque, come risulta dalla lettura di questi detti, è ignorante, testardo, egoista, litigioso, rassegnato, sta male in arnese, sta peggio di tutti, invano attende un qualche compenso, resiste alle bastonate del padrone, s'impunta, è docile, si contenta di poco; l'unico detto di segno per così dire positivo, è quello che ce lo presenta "picciriglio", sicché "sempe giovane pare": il che gli dà una parvenza di bella gioventù.
Una certa ambivalenza sembra avere il detto "Pare `u ciuccio r'u turrunaro", cioè "pare l'asino del venditore di torroni" che era immancabilmente presente in ogni festa patronale: l'immagine è gioiosa e festosa, ma il sentimento espresso è quello di un fastidio insopportabile per certe persone troppo invasive e onnipresenti.
A questo punto elenchiamo i detti da noi raccolti sull'asino.
1. ‘U ciuccio che nun vô vévere – hê voglia `e friscà!
(L'asino che non vuol bere – hai voglia di fischiare!)
Detto di chi tu inviti a fare una cosa, ma quello non ne vuol sapere. Friscà è fischiare; vévere è il lat. bibere in cui è caratteristico il fenomeno del passaggio di b- a v-.
2.’U ciuccio porta 'a paglia – e ‘u ciuccio s’a mangia.
(L'asino porta la paglia e l'asino se la mangia).
Detto per rimproverare l'egoista che non si mostra solidale.
3. I ciucci s'appìccecano – e i varrili se scassano.
(Gli asini litigano e i barili si rompono; con riferimento agli asini che trasportavano i barili di vino su carretti detti 'traini' con l'accento sulla penultima vocale).
Le persone non colpevoli (qui rappresentate dai barili) pagano le pene per le colpe di altri (gli asini). Appiccicarsi: attaccarsi, legarsi, afferrarsi e, quindi, litigare; varrile = barile (con il solito passaggio della b- alla v- e il raddoppiamento della erre).
4. Tengo 'u ciuccio p'a capézza – 'u vaco afferrà p'a córa?!
(Tengo l'asino per la capezza, lo vado ad afferrare per la coda?!).
Non scambiare una situazione vantaggiosa per una svantaggiosa! Cora da coda: qui si verifica un altro caratteristico fenomeno della lingua napoletana, cioè il passaggio della d alla r.
5. Attacca 'u ciuccio addó vó 'u padrone.
(Attacca l'asino dove vuole il padrone).
Anche quando non si è d'accordo. Bisogna rassegnarsi a fare quello che vuole chi sta in alto e comanda. L'asino è qui simbolo di rassegnazione e d'ubbidienza.
6. Pare 'a ciuccia e Fichélla: 99 rifiétti e 'a córa fràceda!
(Pare l'asina di Fichella: aveva 99 difetti e la coda fradicia).
Fichella doveva essere il soprannome (d'origine vegetale) di una o un contadino; preferirei vedervi qualche donna che stava male in arnese, in coppia con la sua asina (qui compare appunto la femmina dell' asino) che stava ancora peggio perché aveva tutti i malanni; significativo mi sembra l'uso del femminile: forse inconsciamente, anche nell'ambito della letteratura popolare si manifestava una certa concezione maschilista!
Il numero 100 indica la totalità, qui suddiviso in 99 più uno; la coda è la parte estrema, quindi l'ultima; insomma quell' asina aveva tutti i difetti.
In rifiétti si nota lo scambio d - r e lo sdoppiamento della vocale -e- in -ie- (come per es. anche in medico che diventa miéreco, inverno > vierno, ecc.).
(fine I parte)
Antonio Martone
(da Il Sidicino - Anno XI 2014 - n. 5 Maggio)